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Islanda – giorno 5: Húsavík e Hverfjall

Lo spettacolo più emozionante al mondo

Il quinto giorno del nostro tour on the road nasce con un sole meraviglioso, il che ci rende fortunatissimi visto che ci aspetta l’escursione, quella con la E maiuscola, la più attesa di tutto il viaggio: il whale watching tour, il giro in barca per conoscere i giganti gentili, le balene, con una puntata anche alla Puffin Island, l’isola dove nidificano le pulcinelle di mare.

Il porto di Húsavík

Nel corso dell’organizzazione del viaggio avevamo cercato di prenotare il gommone, in maniera tale da avvicinarci quanto più possibile a questi animali meravigliosi senza arrecare loro alcun disturbo, ma alla fine la compagnia armatrice aveva deciso di non ricorrere ancora ai gommoni rimandando l’apertura della stagione, quindi ci siamo trovati costretti a prenotare una barca a vela… per poi ritrovarci su un barcone pieno di gente! Ci è andata comunque bene in quanto il capitano ha fatto di tutto per avvicinarsi quanto più possibile, ad ogni avvistamento dei cetacei, nel silenzio più assoluto.

L’esperienza più bella della mia vita, sono delle creature meravigliose che si muovono sempre in coppia, di temperamento docile e gentile, ingiustamente braccate per secoli, hanno inoltre una grazia nei movimenti in completa antitesi con la mole che le contraddistingue… posso solo dirvi che appena le ho viste immergersi ho saputo solo dire “woooowwww” con gli occhi che mi brillavano per la gioia.

La nostra imbarcazione

Nella zona in cui sono state collaborative nel mostrarsi ai nostri occhi, il settanta per cento sono giovani maschi, non ancora al massimo della propria corporatura, diciamo sui 9-10 metri contro il 15-16 di un esemplare adulto, inoltre le due specie più diffuse in quel ramo di mare sono le Humpback e le Minke, distinguibili non solo per la lunghezza del corpo, ma dai colori che contraddistinguono le venature della coda.

Imbottiti da paura!

Ho voluto visitare anche il piccolo museo adiacente l’attacco delle imbarcazioni per approfondire la loro conoscenza, avendo modo non solo di scoprire quante specie diverse di balene vi sono al mondo, ma soprattutto le loro origini, in quanto nate come creature di terra e in cui ancora sono presenti le ossa lunghe degli arti, successivamente evolutesi da piccoli cetacei in quelle che conosciamo oggi per mere esigenze di sopravvivenza legate alla glaciazione; mi ha fatto molta tenerezza sapere come si legano al partner e come crescono i propri cuccioli, nutrendoli ed accudendoli sino a che non siano in grado, con ragionevole certezza, di cavarsela da soli, inoltre si tratta di animali che, biologicamente e a livello cerebrale, sono strutturati esattamente come l’essere umano.

Solcando le acque artiche
Puffin Island
Provo ad ingrandire la foto, anche perdendo risoluzione, per mostrarvi i puffins
Imbranatissimi nel volo

Ancora con gli occhi pieni di stupore ci siamo spostati verso la zona geotermica visitata ieri, con l’intenzione di salire fino al cratere del vulcano: si è trattato di una salita di circa 100 metri, abbastanza impegnativa nell’ultimo tratto, che ci ha permesso di osservare l’interno del cratere e di fare una passeggiata lungo il perimetro dello stesso.

Il cratere
Panorama dalla vetta del vulcano

Abbiamo avuto l’immensa fortuna di godere di una giornata stupenda dal mattino alla sera, soprattutto in considerazione del fatto che per navigare in pieno mare artico abbiamo dovuto indossare delle tute termiche pesantissime al di sopra dei nostri già caldissimi indumenti termici, quindi non oso pensare come sarebbe stata in caso di maltempo. Vedere il mare artico scintillante sotto il sole, ammirare l’argenteo del manto delle balene e i simpaticissimi puffins tentare il volo sulla superficie dell’acqua è stato spettacolare.
Due note al volo sui puffins: si tratta di uccelli graziosissimi ed imbranatissimi nel volo, tuttavia sono dei nuotatori eccellenti ed usano le ali per cambiare direzione nel corso del nuoto, soprattutto per effettuare delle virate rapidissime durante la caccia di piccoli pesci e di crostacei, che sono alla base della loro alimentazione.

Non so se mai ritornerò in questo magico paese, ma di una cosa sono certa: dovessi farvi ritorno solcherò nuovamente le acque artiche per incontrare di nuovo i giganti gentili.

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Islanda – giorno 4: Saudarkrókur, Glaumbær, Ljiosavatn, Godafoss, Masvatn, Myvatn, Leirhnjúkur e Namafjall

Come promesso ieri sera, rieccomi qui a farvi compagnia con un po’ di tappe interessantissime, del resto vi avevo anticipato che si sarebbe trattato di una giornata intensa, quindi se non vi siete spaventati già leggendo il titolo del post andiamo avanti!

La prima sosta l’abbiamo fatta a Saudarkrókur, scoperta per caso semplicemente fermandoci perché ci ispirava e ne è valsa davvero la pena in quanto ci siamo trovati davanti ad una bellissima spiaggia nera, ricoperta da sassolini vulcanici finissimi che conferiscono l’aspetto particolarissimo al paesaggio.

La seconda fermata è stata casuale quanto la prima ed è stata assolutamente meravigliosa: un borghetto rimasto fermo alle origini, con la possibilità di visitare anche l’interno di una casa dell’epoca, interamente costruita con fango ed erba essiccata… godetevi le foto perché il luogo è un incanto, un vero spaccato della società rurale dell’epoca.

Materia prima per la costruzione degli edifici.
Alcuni interni: la cucina.
La dispensa.
Le camere.
Si sale al piano superiore…
… dove troviamo arnesi da lavoro.

Nel corso del nostro spostamento abbiamo fatto una pausa pranzo (in merito al cibo ne riparleremo) al lago di Ljiosavatn, molto carino ma purtroppo invaso ma sciami fittissimi di moscerini molesti che soggiornano a pelo d’acqua.

Ed eccoci a Godafoss… e qui inizia lo spettacolo! La cascata degli dei, così definita in quanto intorno all’anno mille Lögsögumadur Porgeir Ljósvetningagodi impose il Cristianesimo quale religione ufficiale in Islanda e, per sottolineare la propria conversione, gettò nella cascata le statue degli idoli pagani. Tuttavia si narra che già antecedentemente il nome della cascata fosse usato in quanto ritenuta sacra in onore degli dei Odino, Thor e Freyr.

Il luogo è magnifico, ce lo siamo goduti sotto un sole cocente che ci ha permesso di passeggiare con la sola maglietta e di godere dei primi segni dell’estate.

Arrivati a Masvatn ci siamo fermati lungo la strada per ammirarne il lago ghiacciato, uno dei primi segni che ci stavamo dirigendo verso uno dei punti più a nord del paese, dopo aver comunque già avvistato in lontananza le coste della Groenlandia.

Ed eccoci al lago di Myvatn, la destinazione finale della giornata odierna, zona assolutamente spettacolare che sorge in zona vulcanica, tant’è che dopo esserci fermati ad ammirarne le sponde, abbiamo cercato di approfondire la zona, scoprendo che l’attività vulcanica regala anche delle curiose fumarole e una distesa di affascinanti solfatare.

Il luogo è popolato da anatre arlecchino

Seguendo le fumarole scopriamo un maestoso impianto di energia geotermica, che riscalda l’intera zona, adiacente alle pendici del vulcano di Leirhnjukur, peraltro ancora attivo, come dimostrato dal persistente odore sulfureo, dalla presenza dei fuochi di Krafla, da pozze di magma ribollente e da terra nerastra.

Le pozze sulfuree di Nàmafjall valgono davvero una visita: si passeggia su sentieri segnati tra vapori bollenti, pozze gorgoglianti e punti in cui la temperatura del terreno varia tra gli 80 e i 100 gradi.

L’Islanda è una terra magica, in equilibrio tra un mare gelato e un terreno bollente, è terra di fuochi e di balene, è una terra senza nulla ma che non ha bisogno d’acqua, non ha bisogno di fuoco, nè di energia, è una terra di cavalli dal manto lungo e meraviglioso, è una terra in cui l’uomo rispetta la terra e non la travalica, in cui le strade hanno lunghezze infinite in quanto seguono la morfologia del territorio, è una terra di rispettosa convivenza tra la natura e l’uomo.

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Islanda – giorno 3: Helgafell, Kolugljufur, Illugastadir, Vatnsdalshólare e Gullsteinn

Panorama dalla Helgafell

Quella di oggi nasce come una giornata di trasferimento libera da escursioni prenotate e quindi completamente a nostra disposizione, quindi mi siedo alla guida della nostra gippetta e mi preparo ad affrontare più di duecento chilometri, la maggior parte dei quali verranno percorsi su strade sterrate e che metteranno a dura prova le mie abilità di pilota.

La prima tappa della giornata ci vede salire sulla montagna sacra di Helgafell, situata sulla penisola di Snæfellnes: si tratta di un’altura di soli 73 m. sulla quale venne eretto un tempio in nome di Thor da Pórólfr Mostrarskegg, primo colono della zona. La tradizione vuole che, se vi si sale e si scende in silenzio, senza mai guardarsi alle spalle, si possano esaudire tre desideri.

Kolugljufur

La seconda tappa la facciamo a Kolugljufur per ammirare le bellissime cascate, anch’esse legate ad una tradizione locale; infatti si narra che la gola Kolugil, in cui scorre il flusso d’acqua, debba il proprio nome alla troll Kola, qui sepolta insieme al proprio tesoro, tant’è che sia la gola che l’adiacente collina siano protetti da un incantesimo.

Pristapar

Pristapar rappresenta la terza tappa, legata a quella che storicamente fu l’ultima esecuzione avvenuta in Islanda, risalente al 12 gennaio 1830 e che vide protagonisti Agnes Magnúsdóttir e Fridrik Sigurdsson, rei di aver commesso un doppio omicidio nei confronti di un proprio compaesano (che, letta tutta la storia, proprio uno stinco di santo non era), che valse loro la decapitazione.

Vatnsdalhólar

La quarta tappa è stata un po’ una delusione in quanto a Vatnsdalhólar era prevista una passeggiata lungo la sponda di un lago, purtroppo disattesa in quanto recintata nonostante le diverse indicazioni forniteci, tuttavia abbiamo avuto la gioia di conoscere una cagnolona simpaticissima che ci ha riempiti di baci e che ha tentato di espatriare salendoci in macchina (e se fossimo stati in camper sono certa che mio marito l’avrebbe adottata nonostante non si trattasse di una randagia)… c’è rimasta così male quando siamo dovuti ripartire (e noi pure)…

Prima di arrivare all’albergo ci siamo fermati a Gullsteinn, dove è posta una pietra a ricordo della fattoria in cui visse Porvaldur Kodransson, un missionario al seguito del vescovo Friderkur di Sachen; tale pietra veniva venerata dai pagani e si narra che si spezzò quando il vescovo cantò per esorcizzarla a favore del cristianesimo.

Gullsteinn

Insomma, mica male per un semplice trasferimento… alla fine abbiamo avuto modo di arricchire un po’ il nostro bagaglio culturale con la storia di un paese meraviglioso del quale si conosce poco. Domani però sarà un po’ più movimentata, quindi appuntamento pressoché alla stessa ora per un’altra puntata da vivere con noi!

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Islanda – giorno 2: Ghiacciaio di Húsafell

È iniziata ufficialmente la nostra avventura artica, tra escursioni programmate e prenotate ed altre da scoprire on the road.

Dopo poche ore di sonno, all’incirca tre, ed una veloce colazione (sono stata brutalmente strappata dal lauto pasto da mio marito prima che mi mangi anche i camerieri… ma poi se ne pentirà visti i prezzi del cibo, assolutamente non affrontabili con serenità) siamo saliti sulla nostra gippetta per raggiungere il ghiacciaio di Húsafell, visitabile grazie ad un tour guidato, a bordo di un mezzo 8×8 con ruote chiodate, che parte dal campo base di Klaki, per una durata di quattro ore.

Il potente mezzo che ci accompagna sino alla caverna

La nostra bravissima conducente, Magdalena (uno scricciolo di ragazza con un piglio da camionista navigato), ci accompagna lungo sentieri terrosi sino all’inerpicarsi sul ghiaccio, su un manto nevoso accessibile unicamente agli spazzaneve, ripido e scivoloso, mentre la guida ci illustra l’intera morfologia del territorio.

Solo alla fine del percorso raggiungiamo la sommità di quello che, con i suoi 925 km quadrati, risulta essere il secondo ghiacciaio più esteso d’Islanda ed è da questo punto che si apre l’accesso al cuore di questa meraviglia, il tunnel del ghiacciaio Langjökull, illuminato magistralmente al suo interno, il che permette di ammirarne la morfologia.

La guida risulta essere molto chiara e paziente nelle spiegazioni, fornendo dettagli e curiosità relativi alle innumerevoli sfumature del ghiaccio, non senza prima aver fornito dei rampini chiodati a ciascun visitatore.

Venature del ghiaccio dovute all’alternarsi delle stagioni e, di conseguenza, dello scioglimento e della successiva risolidificazione dell’acqua in ghiaccio.

Per comprendere la vastità del ghiaccio basti pensare che lo stesso è formato da una serie di ghiacciai minori uniti l’uno all’altro senza soluzione di continuità, il che permette al visitatore di percepirlo come un’unica unità.

La parte più profonda del ghiacciaio, dove la formazione raggiunge la sua densità più elevata.
Usciamo cautamente, uno alla volta, da questo mondo sotterraneo e meraviglioso!

La guida è molto chiara nelle spiegazioni più dettagliate e ampiamente disponibile a soddisfare qualsiasi quesito venga rivolto, tuttavia la bellezza va ammirata, si tratta di un mondo sotterraneo incantato, da osservare ad occhi spalancati e con il cuore aperto nei confronti della natura e della sua capacità di produrre delle meraviglie immense che la mano umana non potrà mai eguagliare.

Un po' del mio mondo/ Viaggi

Di nuovo in giro per il mondo: Islanda – giorno 1

Ve lo dico subito: non era previsto… ma.

Era il mio sogno della vita, il Grande Nord.

Avevo un altro sogno, salire su un aereo e volare.

E mentre me ne stavo per conto mio a studiare una vacanza completamente diversa, mio marito mi ha trascinata di peso in agenzia viaggi e mi sono trovata il regalo più bello… lui, il sogno della mia vita, già studiato e confezionato.

Più di un mese di attesa e arriva “il” giorno, quello carico di emozione, di tensione, di aspettativa, anche di pioggia, tanta pioggia, cosa che accentua la mia ansia da neofita del volo. Sono state settimane faticose, condite dall’incubo di dover vuotare casa in quanto gli operai, attesi da tempo immemore, hanno sommato l’inizio della ristrutturazione alla data della nostra partenza.

È il 2 maggio, le cagnoline già sono in crisi a causa del caos in casa, vedono le valigie e si preoccupano ancora di più, la mia ansia sale ma alla fine saliamo sul pulmino del transfer che ci porterà all’aeroporto di Venezia. Lì inizia quella che per me è già una giostra fatta di check-in, di controlli, di gates e di altre parolacce che mi confondono sempre di più.

Un altro pullman e mi ritrovo sull’aereo, una trappoletta piccina che mi rende claustrofobica, inizia il panico, siamo in ritardo fortissimo e rischiamo di perdere, a Vienna, il volo per Keflavik… insomma non il migliore dei battesimi!

Mio marito ride e mi filma mentre il decollo mi vede impallidire, ansimare, tremare e irrigidire ma… ce l’ho fatta! In pochi secondi la laguna di Venezia si stende sotto di noi come il plastico di un trenino ed è subito magia! Sono stata rilassata? No. Emozionata? Moltissimo.

La corsa a Vienna per non perdere il secondo volo è stata epica e condita dal timore che non riuscissero a caricare i bagagli, ma almeno il velivolo che mi sono trovata davanti era molto più spazioso e decisamente più grosso. Il decollo è stato paurosamente emozionante, incollata ai sedili ed impennata come non mi aspettavo, ho sorvolato la Germania, la Danimarca, il Mare del Nord, ho visto il sole sorgere ai miei occhi alle 23 mentre ci avvicinavamo al Circolo Polare Artico, ho avuto paura perché il volo era lungo, i motori erano enormi e ruggivano, poi la discesa in mezzo alle nubi, sentire il vuoto nello stomaco, non vedere nulla al di fuori della propria impotenza e del senso di ingabbiamento. E di colpo le luci di Keflavik, un atterraggio “in tromba” (comprendo il ritardo ma devo aver imbroccato un pilota allegro e molto sicuro di sè)… ed eccomi in terra d’Islanda, il mio sogno, quello che mai avrei pensato di poter realizzare ma mio marito mi ha davvero regalato un sogno!

Tra le pratiche per il noleggio della nostra gippetta e la strada fino a Reykjavik abbiamo raggiunto il cuscino, stanchi ed affamati, alle due del mattino (le quattro ora italiana)…

Ho voluto condividere le mie emozioni di una giornata speciale, una di quelle che attendi da tutta una vita, anche se ho iniziato il post per raccontarvi del primo impatto con la natura selvaggia di questo luogo incantato, ma va bene così. Ci rileggiamo domani che vi racconto il resto?

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Asiago e il Santuario della Madonna del Buso

Ultima, e più bella, tappa della nostra piccola vacanza: lasciamo Schio per l’Altopiano di Asiago, da sempre incuriositi ma totalmente digiuni in merito, a parte i consigli generosamente forniti da mio figlio, ospite di un’amica per due estati di fila.

Già all’arrivo sull’altopiano mi si apre il cuore: una meraviglia! Paesaggio incontaminato, paesini graziosi, prati immensi che sembra quasi di stare in Austria, caseifici ovunque! Prima di fermarci in paese proseguiamo alla volta della chiesa della Madonna del Buso, attirati per la nota forra sita al di sotto dell’edificio: decidiamo di lasciare il camper a 500 m. dall’edificio a causa dei ricorrenti avvisi di limitazione dell’altezza a due metri (noi siamo a 3,15 e rimanere incastrati senza poter invertire il senso di marcia è l’ultima cosa che vogliamo), in realtà poi rivelatisi infondati, anzi… dinanzi alla chiesa vi è un bellissimo parcheggio che ci avrebbe consentito di manovrare il veicolo molto più agevolmente. Visitiamo la chiesetta e scendiamo lungo la scalinata scavata nel bosco fino al letto del fiume (in secca): uno spettacolo! Non aggiungo altro: ammirate voi stessi!

Il santuario
La forra
Ancora piena di ghiaccio

Ritorniamo verso Asiago, una sosta per il pranzo e poi via verso il centro, ma non prima di aver fatto una deviazione per raggiungere il Caseificio Pennar: il paradiso se amate i formaggi e in generale i prodotti caseari. Esso nasce nel 1927, in seguito alla ricostruzione post bellica sulle rovine di un antichissimo caseificio turnario; oggi rispetta in toto il più rigoroso disciplinare nel rispetto della tradizione e dell’ambiente in quanto l’intero processo, dalla mungitura all’affinatura del formaggio, si svolgono in montagna. Il risultato è la qualità eccelsa e prezzi onestissimi, il che ci ha permesso di fare un po’ di scorta per le prossime settimane.

Terminata la tappa spendacciona ci siamo recati in centro: carinissimo e curato al top! Dopo tanti centri trascurati finalmente ho goduto di una cittadina che è un amore, piccola ma pulitissima, con dei negozi molto belli (purtroppo anche molto vuoti), un centro sicuramente da vivere! Noi ci siamo fatti una bella passeggiata nonostante il freddo cane e il vento gelido, ma ne è valsa davvero la pena: l’unico appunto che mi sento di fare, pur non avanzando alcuna critica, sono gli eccessivi divieti di accesso ai cani ovunque. Io provengo da una regione in cui, grazie ad una civilissima legge regionale del 2012, i cani entrano ovunque, tuttavia un po’ più di elasticità non mi avrebbe destabilizzata, specie in quanto ho incrociato molte persone con pelosetto al seguito e la temperatura esterna era davvero glaciale anche per i nostri quattrozampe.

Il palazzo comunale

Vi lascio la consueta carrellata di immagini e stavolta mi sa davvero che ci rivediamo a casa!

La statua di Santa Giovanna Bonomo, sopravvissuta ai bombardamenti del primo conflitto mondiale
L’unico danno subito: le dita di una mano, praticamente è stata miracolata tenendo conto che tutta l’area circostante venne rasa al suolo
Il duomo, spettacolare!
Ora entriamo per ammirarne l’architettura
Ci accoglie un interno stupendo
Ditemi se non è favolosa…
Con il naso per aria…
Incantevole
Gli stupendi mosaici del battistero
Una stupenda “Pietà” ci accompagna all’uscita

Non so se aggiungerò ancora qualche tappa al viaggio, qualcosa che valga la pena raccontare e raccomandare, quel che è certo che qui vogliamo ritornarci, c’è molto da vedere e da fare, i sentieri sono tanti e bellissimi, inoltre accanto al bellissimo parcheggio che ci ha ospitati per cinque euro al giorno, pur senza alcun servizio, stanno edificando un’area camper che si prospetta completa ed allettante. Asiago aspettaci!

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L’abbandono di un’ipotesi

Siamo a Schio, bella cittadina del vicentino, scelta in quanto dotata di un’area camper completa dei servizi di cui necessitiamo, oltretutto sembra offrire anche qualcosa di carino da visitare. Vi arriviamo con il cielo ancora gonfio di pioggia, tuttavia nel primo pomeriggio le nubi iniziano a diradarsi lasciando trapelare un raggio di sole, quindi decidiamo che vale una visita.

Ingresso del vecchio stabilimento Lanerossi

La cittadina è intimamente legata alla famiglia Rossi e al famoso lanificio, soprattutto perché il suo fondatore, Francesco Rossi, come spesso accadeva in passato, aveva a cuore i propri dipendenti al punto di realizzare davanti allo stabilimento un parco dove potersi svagare (Giardino e Teatro Jacquard), nonché un asilo per i figli dei dipendenti, non molto distante dal luogo di lavoro.

Inoltre lo stabilimento constava di cinque piani, ognuno dedicato ad una diversa fase di lavorazione della lana, mentre il sottotetto era dedicato al rammendo, tutti dotati di riscaldamento, finestre idonee all’ingresso della luce e servizi igienici, cosa non scontata per l’epoca.

Giardino e Teatro Jacquard (tutto chiuso)

Inoltre lungo le principali strade del centro si snodano varie tappe, segnate da palette descrittive, che consentono al turista di apprendere la storia di ciò che si accinge a visitare. Insomma c’è tanto materiale da sfruttare per rendere Schio un centro di interesse storico, culturale e di archeologia industriale… ma… ed ecco il perché del titolo di questo post… molti edifici sono abbandonati al degrado più totale, alla sporcizia, alla muffa (non li ho nemmeno fotografati, la sporcizia era rivoltante), mentre altri nonché alcune chiese, reputati bellissimi, sono chiusi, sigillati, transennati, senza alcun avviso atto a fornire una spiegazione, una auspicabile data di apertura, nulla se non l’inesorabile senso di abbandono.

L’asilo per i figli dei dipendenti

È valsa comunque la visita grazie all’esposizione, almeno questa in perfetto stato, delle turbine utilizzate a livello industriale grazie alla presenza dell’acqua, facendo ben comprendere quale importanza essa abbia rivestito per lo sviluppo manifatturiero.

Il castello
Ovviamente chiuso e in totale stato di abbandono
La chiesa della Sacra Famiglia, dedicata a Santa Giuseppina Bakhita, religiosa sudanese fuggita dalla schiavitù e riavuta la libertà a Venezia (tenuta molto bene e particolare in quanto distante dai comuni canoni estetici cattolici)
Vetrata dedicata a Santa Giuseppina Bakhita, chiamata Suor Moretta, visibile nella chiesa di San Giacomo
Chiesa di San Francesco, chiusa e in stato di abbandono nonostante sia ritenuta meritevole di visita
Il duomo, maestoso, immenso… e chiuso, barricato completamente da una cancellata
Le vie del centro, molto carino nonostante i troppi negozi sfitti che mettono sempre un podi malinconia
Finiamo con le turbine, almeno queste tenute benissimo!
Corso d’acqua a lato delle turbine, dove la potenza dell’acqua veniva trasformata in energia elettrica
Uno dei macchinari esposti nelle tre sale visitabili

Oramai ci avviciniamo a casa, domani saremo sulla via del ritorno, ma conto di sfruttare ancora qualche ora per conoscere ancora qualche angolino di questa bella terra… ci rivediamo domani sera!


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Sacrario militare del Pasubio, non solo un monumento

Ultima tappa storica voluta da Luca: il Sacrario Militare del Pasubio, monumento funebre eretto in onore dei caduti della Prima Guerra Mondiale nonché, al piano inferiore, l’Ossario.

Ho pensato a lungo se farci un post o meno, anzi a dire il vero propendevo per il no, innanzitutto per l’aspetto macabro della visita, ma soprattutto per il rispetto che porto verso quei poveri ragazzi mandati a morire nella solita inutile guerra. Tuttavia appena vi sono entrata mi sono trovata al cospetto di un edificio artisticamente notevole, dalla struttura curiosa ma soprattutto ricchissimo di affreschi, un tripudio di tinte sulle varianti del rosso, quasi un inno alla vitalità che possa rendere meno lugubre il significato del luogo.

Il monumento si erge sulla sommità del colle Bellavista anche se, quasi a dispetto del nome, noi vi siamo arrivati immersi nelle nubi dopo una notte di grandine e pioggia torrenziale; è stato aperto nell’anno 1926 e ospita 5186 poveri ragazzi strappati alle proprie famiglie. Altro non voglio aggiungere, forse (secondo il mio carattere) il dispiacere nell’aver constatato che nemmeno nella morte siamo tutti uguali, visti i titoli militari e spesso onorifici che accompagnano alcuni nomi incisi alle pareti, mentre a mio avviso sono state tutte persone cui è stata strappata la vita e rubato il futuro.

Vi lascio la consueta carrellata di foto perché artisticamente vale veramente una visita, ovviamente mi fermo alle porte dell’ossario per il dovuto rispetto a chi vi riposa.

Le nubi che ci accolgono all’arrivo
La forma molto particolare dell’edificio colpisce subito lo sguardo
La cappella che accoglie il visitatore all’ingresso
Si sale ai piani superiori
La ripidissima scala di 32 gradini che porta all’ultimo livello dell’edificio
Fa impressione vero?
Siamo all’ultimo livello
Anche le vetrate sono magnificamente istoriate e decorano l’intera costruzione
L’unica parte dell’ossario che vi mostro: la volta, anche qui la decorazione risulta molto curata, seppure giustamente più sobria
E qui mi fermo, entro da sola in silenzio per rispetto
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Passo Pian delle Fugazze e Valli del Pasubio, una passeggiata nella storia

Continua il nostro giro lungo le tappe storiche, per la gioia di Luca (il patito per la storia), di Bubu e Margot (che possono girellare spesso libere e annusare ovunque) e mia (che mi consolo pensando che l’attività fisica non può che farmi bene): iniziamo con il Passo delle Fugazze, siamo sul confine tra Veneto e Trentino Alto Adige, ai piedi delle Piccole Dolomiti.

La zona è stupenda e rappresenta il vecchio confine tra Italia ed Austria, storicamente legato alla notte del 24 maggio 1915 quando i soldati italiani lo attraversarono rimuovendone le insegne imperiali: le immagini sottostanti testimoniano tutto ciò, ma vale la pena inerpicarsi lungo il sentiero per pochi minuti in maniera tale da ammirare anche le incisioni confinarie sulla roccia.

Particolare dell’insegna posta a memoria dell’antico confine
Particolare dell’incisione posta sulla parete di roccia: curioso che il Leone di San Marco sia stato raffigurato con il libro aperto, simbolo di pace, proprio in zona confinaria
L’intera incisione, completa di date

La zona si presta a delle bellissime passeggiate in quanto, accanto ai percorsi storici presenta anche alcuni prati pianeggianti completi di tavoli con panchine, perfetti per un pic-nic nel corso della bella stagione. Il paesaggio che ci ha accolti è ancora brullo e la sera fa veramente freddo, ma in estate dev’essere magnifico!

Abbiamo poi proseguito per la zona di Vallarsa, dove si estende una interessante area storica rappresentante il Campo Trincerato Austroungarico di Matassone, tutto sommato piacevole da visitare visto il panorama che si gode dall’altura sulla quale ci troviamo; come sempre lascio le immagini a parlare perché i miei suggerimenti vorrei fossero delle mere indicazioni per una passeggiata in famiglia e non un mattone storico da digerire. Insomma, una perfetta gita in montagna con un pizzico di cultura.

Le mie pupette pelose curiosano ovunque
Una meraviglia per un pic-nic con vista aperta sulle Dolomiti!
Il parcheggio che ci ha ospitati la notte, purtroppo con il camper service fuori uso, ma con una vista impagabile!
E tutto intorno al parcheggio un tripudio di bucaneve 😃
Il ricordo lasciato da qualche anima gentile…
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Recoaro Terme, la tristezza per una cittadina abbandonata

Ci siamo arrivati solo a seguito dell’interesse di mio marito per la storia, trovandosi a Recoaro un bunker molto ben mantenuto che lo incuriosiva da tempo. Lui è un grandissimo appassionato di storia, io l’ho sempre detestata ma delle volte mi adatto, sia mai che impari qualcosa, quindi anche questa volta l’ho seguito di buon grado.

Non ho alcuna intenzione di soffermarmi su quelle che sono reminescenze belliche, sia per il sopra citato odio per la storia, sia e soprattutto per la mia repulsione verso tutto ciò che ci riporta ad episodi di violenza, tuttavia se siete di passaggio vale la pena apprendere almeno un’infarinata di ciò che è accaduto in queste zone nel corso del secondo conflitto bellico e del motivo per il quale è stata scelta questa località per costruirvi un bunker.

A metà di settembre 1944 Recoaro Terme divenne sede del Gruppo d’Armate C tedesche in Italia guidate dal feldmaresciallo Albert Kesselring, sia per motivi logistici (facilità di fuga verso la Germania, abbondanza di strutture alberghiere, luogo non cruciale per interessi bellici e quindi teoricamente non interessante per eventuali attacchi), sia per la necessità di Kesselring di poter usufruire di cure termali.
Ad oggi il bunker è mantenuto molto bene grazie al volontariato e costituisce una visita gradevole, nonostante l’abbigliamento un po’ teatrale degli addetti, acconciati con abiti replica rispetto agli originali dell’epoca; l’accesso è gratuito e si basa esclusivamente su donazioni volontarie.

Tanto curata appare questa visita quanto in condizioni disastrose si trova la cittadina, luogo a mio avviso di grandi potenzialità ma abbandonato a se stesso, con tutti i centri termali chiusi, vecchi alberghi barricati e fatiscenti e case disabitate da innumerevoli anni, dalle insegne sbiadite e i ballatoi arrugginiti.

Mi è davvero dispiaciuto vederla così, ferma al lustro appannato di cinquant’anni fa, almeno a giudicare dallo stile edilizio, nonostante la potenziale ricchezza data dall’acqua termale e dallo stabilimento dell’acqua minerale che, con un po’ di investimento, potrebbe divenire davvero un piccolo impero, eppure ho notato una trascuratezza davvero desolante, non so nemmeno se imputabile ad una amministrazione comunale poco interessata in quanto si tratta di un degrado evidentemente di lunga data.

Nonostante tutto gli aperitivi del bar Divine sono spettacolari!

Vi lascio un paio di scatti del bunker e ci rimettiamo in viaggio per la prossima tappa.

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