Riprendo la visita a Smederevo da dove l’ho lasciata nel post precedente, già abbastanza lungo, che forse avrebbe penalizzato la visita alla fortezza, il che mi sarebbe dispiaciuto: si tratta infatti di una città fortificata medievale costruita tra il 1427 e il 1430 da Djurad Brankovic, a capo del Despotato di Serbia, poi ulteriormente fortificata dagli Ottomani, che conquistarono la città nel 1459.
La struttura pende in maniera vistosa ma regge da secoli
La fortezza subì vari attacchi sia dagli Ottomani che dai Serbi, tuttavia la sua struttura resistette senza grossi danni ad ambedue, per poi però subire gravi danneggiamenti nel corso della Seconda Guerra Mondiale; nel 2009 venne portato avanti un grosso intervento di restauro, vista la bellezza della struttura, tant’è che nel 1979 venne dichiarata “monumento culturale di importanza eccezionale” mentre, nel 2010, è stata candidata ad entrare nel Patrimonio mondiale dell’umanità dell’UNESCO.
Al tramonto… la magia!
Essa dista meno di 50 km. da Belgrado e sorge sulla riva destra del Danubio, esattamente nei pressi della confluenza di quest’ultimo e della Jezava, posizione che permise alla capitale di rimanere vicina al Regno d’Ungheria pur favorendo il sultano ottomano Murad II al fine di impedire agli ungheresi il passaggio incontrollato nella valle della Grande Morava, insomma un atteggiamento assolutamente diplomatico. Del resto anche nel corso dei secoli la sua posizione tra i Balcani e l’Europa centrale ne ha favorita l’importanza quale centro religioso e ne ha tutelato lo sviluppo commerciale.
Il Danubio infuocato
Attualmente essa ospita un parco pubblico, occasionalmente ospita festival, concerti, sagre ed altri eventi pubblici, tant’è che vi è presente un palco fisso, oltre alla presenza di un imbarco dal quale si accede al lungofiume; di storia ce ne sarebbe ancora tanta da raccontare, ma sapete che mi annoia e che mi limito al minimo per comprendere il posto in cui mi trovo, ma vi voglio appuntare ancora un particolare, ossia che la fortezza è stata costruita secondo la tradizione bizantina, esattamente sul modello della fortezza di Costantinopoli.
Per il resto vi lascio alle foto, che valgono sempre più di mille parole…
Dopo la meravigliosa visita a Golubac ripartiamo alla volta di un altro sito archeologico, quello di Viminacium, importante città dell’Impero Romano, nonchè capitale della provincia della Mesia, sempre lungo le rive del Danubio, silenziosa e costante presenza in questo nostro viaggio molto “on the road”.
Siamo entrati in questo pertugio per esplorare tutta la necropoli
Viminacium venne fondata nel I secolo lungo le rive della Mlava, un affluente del Danubio, tra la fine del principato di Augusto e l’inizio di quello di Tiberio, ma sotto l’egida dell’imperatore Claudio, a seguito dell’annessione della Tracia, il sito iniziò ad ospitare una fortezza legionaria, con il conseguente trasferimento della legione da Naissus (odierna Niś) a Viminacium e rendendo il luogo una sorta di quartier generale delle truppe romane, le stesse che condussero la campagna militare di Traiano contro Decebalo e le sue truppe daciche. Se rammentate il mio post dedicato alla navigazione sul Danubio, avevo inserito un riferimento alla Colonna di Traiano sita a Roma: ebbene, l’anfiteatro rappresentato su di essa è proprio quello del Viminacium.
L’anfiteatro
La località, sotto Adriano, ricevette il rango di municipium, mentre in seguito si fregiò del titolo di capitale della Mesia superiore: proprio qui Caracalla venne proclamato Cesare, nel 196, fino al raggiungimento dello status di colonia romana intorno all’anno 240, tant’è che la zecca di Viminacium coniò monete per diversi imperatori. Da Viminacium transitarono Costantino, Diocleziano, Giustiniano, gli Unni che la ridussero in macerie, certo è che con tutta questa storia che l’ha percorsa nei secoli il sito archeologico offre una varietà di reperti non di poco conto, al punto da essere ribattezzata la “Pompei dei Balcani”; certo è che tutta la zona porta la memoria dell’antica civiltà romana, avanzatissima e ricca di cultura, il che ci porta al consueto quesito, già posto in occasione della scoperta dell’Egitto, ovvero di come una grande civiltà possa lasciare, ad oggi, un paese in così tanta miseria e arretratezza.
Ma quanto sono carine queste panchine incontrate a Smederevo?La chiesa di San GiorgioIl pavimento è curiosamente inclinato
Lasciato il sito ci dirigiamo a Smederevo, centro molto grazioso che per un breve periodo, nel corso del XV secolo, fu insignita del titolo di capitale della Serbia e il cui moderno fondatore fu il principe Djurad Brankovic, il quale ne iniziò la costruzione nel 1430 per poi divenire, in Ungheria, il signore di Tokaj, dove iniziò a piantare dei vitigni provenienti proprio da Smederevo e dando origine al noto vino bianco dal quale ha tratto il nome. Da amante del vino non potevo omettere questa curiosità…
Siamo oramai al tramonto e anche questa visita è terminata…
Anche Smederevo, nel corso degli anni, subì la conquista ottomana e divenne ben presto campo di battaglia tra Ungheresi e Ottomani, i quali se la contesero per lunghi anni in un’alternanza di tregue e conflitti, fino al secondo conflitto mondiale, quando venne occupata dalle truppe naziste tedesche e, nel 1999, venne bombardata dagli aerei della NATO; insomma si tratta di una città pesantemente contesa, maltrattata, danneggiata, un po’ come tutta la terra di Serbia, dai vecchi fasti in epoca romana ai devasti successivi, voluta da chiunque e lasciata in uno stato irrispettoso, in mano ad un popolo nazionalista ma estremamente confuso in merito ad una possibile rinascita.
Come già riscontrato in altri paesi, vengono allestite delle piattaforme tutte per loro KoviljIl cortile interno del monastero
Kovilj rappresenta il primo monastero che incontriamo rientrando verso casa, uno splendore assoluto cui ho voluto dedicare un post a parte per non appesantire il tutto con troppe fotografie: si tratta di una struttura religiosa dedicata a Sant’Arcangelo, fondato nel 1220 da San Sava per commemorare l’incontro diplomatico tra il re di Serbia e quello d’Ungheria, notoriamente in costante conflitto e che, grazie a tale incontro, prevenirono l’ennesimo scontro. Il monastero venne dedicato ai santi Arcangeli Gabriele e Michele, tuttavia esso subì, come di consueto, molteplici eventi avversi e tra distruzioni, ricostruzioni e rimaneggiamenti vari oggi possiamo ammirare un edificio di rara bellezza, noto anche per ospitare un coro di canti bizantini i cui maestri vantano la fondazione della Scuola di canto bizantino di Novi Sad.
Tutta questa meraviglia l’abbiamo ammirata al monastero di KoviljAccediamo al giardino del monastero di Bodani
Il Monastero di Bodani, invece, trova le sue prime tracce sulle prime pietre edificate dal mercante Bogdan, nel 1478, quale segno di gratitudine alla Vergine per avergli guarito gli occhi, mentre l’attuale chiesta del monastero venne costruita nel 1722 da Mihail Tamisvarlija, che ovviamente subì i consueti eventi distruttivi come qualsiasi altro edificio della zona, ma che venne anche riportata agli attuali fasti, quale esempio di arte bizantina e barocca e punto cruciale dell’arte serba.
Accediamo al sito del castello di BačCompletamente immerso in un’area rurale
Già che ci siamo, facciamo anche una puntatina serale alla Fortezza di Bač (Tvrdjava Bač), per vedere ciò che rimane di una fortezza meravigliosa, ad oggi la migliore della Vojvodina, all’epoca abitata sia dagli Avari che dagli Slavi, fondata da Carlo I, re d’Ungheria, ma ben resto ampliata soprattutto in quanto Bač era il principale crocevia dell’epoca. Infatti le strade per l’Europa, i Balcani e il Mediterraneo si incrociavano qui e l’alta torre centrale consentiva la supervisione e il controllo delle pianure sottostanti, nonchè del traffico fluviale e di quello terrestre, tant’è che anche il fondale della Mostonga venne dragato per consentire il traffico fluviale sino alla fortezza stessa. Nel 1704 essa venne minata e durante la guerra di Indipendenza di Rakoczi venne distrutta, per poi essere successivamente abbandonata in quanto non più rilevante per scopi militari, tuttavia essa rimane la fortezza medievale meglio conservata della zona.
A Bač rimangono anche poche testimonianze di un hammam, non tanto per ciò che ne rimane, ma per la curiosità legato all’unica costruzione islamica della Vojvodina; esso fu costruito dopo la battaglia di Mohach, nel 1529, quando i turchi raggiunsero la zona e questo è quanto sono riuscita a sapere vista la scarsità di informazioni (e anche di offerta storica ed artistica data la chiusura tombale anche della chiesa cittadina).
Ci rivedremo ancora per uno, forse un paio di post e poi brinderemo alla fine di questo viaggio… ma ho altre proposte da portare avanti su queste pagine!
Oggi raggiungiamo la Fortezza di Golubac già al mattino, dopo aver dormito nei paraggi in un piazzale poco distante dal parcheggio antistante la fortezza, la giornata è stupenda e ventosa, l’aria è un po’ frizzantina… e la fila già immensa! Arriviamo alla biglietteria un po’ confusi in quanto vi sono più percorsi possibili, scelta che andrebbe esposta prima dell’ingresso visto che senza una scarpa da trekking non permettono di arrivare ad alcune torri e in piena estate non è proprio scontato che il turista medio si attrezzi spontaneamente in tal senso.
Comunque sia acquistiamo i biglietti per la visita base (che, detto tra noi, è stata più che soddisfacente, ma Luca avrebbe voluto vedere tutto sino all’ultima pietra) e, varcata la biglietteria, ci troviamo in un giardino spettacolare fronte fiume, letteralmente bagnato dal Danubio: siamo al cospetto di una struttura quasi interamente realizzata nel corso del XIV secolo, composta da tre cinte murarie e dieci torrioni, soprattutto a sezione quadrangolare e solo in seguito rinforzati per meglio resistere agli attacchi delle armi da fuoco.
La fortezza ha subito un passato pregno di tumulti e vi è incertezza anche in merito alla sua costruzione, di certo vi è che nel corso dei restauri eseguiti tra il 2010 e il 2020 sono emersi i resti di un edificio bizantino antecedente la fortezza, inoltre alcune strutture in pietra e mattoni sono simili a quelle successivamente utilizzate negli hammam ottomani. La fortezza medievale fu contesa tra il Regno di Ungheria e l’Impero Ottomano, mentre dal 1867 è divenuto possedimento della Serbia in via definitiva.
La salita sulle torri consente di spaziare la vista sulle acque del Danubio, infatti ci troviamo sulla sua riva destra, che nel nostro caso è stata allietata da una giornata assolutamente tersa e meravigliosa, che ci ha regalato il cielo più blu che mai potessimo immaginare; è stata una delle visite più belle, a mio parere, insieme alla navigazione fluviale descritta un paio di post addietro perchè quando sono a contatto con l’acqua io sono al colmo della felicità e del benessere!
Gli interni
Si è trattata di una visita da godere a centottanta gradi, senza farsi grosse domande storiche nè artistiche, sicuramente grazie alla giornata meravigliosa, ma che mi sento in ogni caso di consigliare assolutamente… godetevi il lungofiume, la brezza che sale dall’acqua, il panorama e il senso di libertà salendo le torri e volgendo lo sguardo verso questa immensa distesa d’acqua!
Arriviamo finalmente alla tappa più temuta per problemi organizzativi in quanto Belgrado offre un unico punto in cui poter sostare con il camper, ovvero una piccolissima area di sosta che non siamo riusciti a prenotare in quanto non hanno mai risposto alle nostre mail, oltre ad essere lontanissima dal centro (e i bus non accettano animali a bordo).
Ho cercato di riprendere più lati del tempio perché tra barriere e traffico era impossibile avere uno scatto soddisfacente.
Riusciamo ad incastrarci nel caos che affolla il piccolo parcheggio, fiduciosi nel fatto che, come consigliatoci dai gestori, utilizzando un servizio taxi simile ad Uber, dotato di mezzi pet friendly, saremmo riusciti a raggiungere il centro, motivo per il quale ci apprestiamo a scaricare l’app, prenotiamo la chiamata, paghiamo il sovrapprezzo prioritario altrimenti nemmeno ti rispondono, attendiamo il mezzo inviatoci che, appena vede i nostri “pets” si rifiuta di offrirci il servizio di trasporto; dopo una lite furiosa con il servizio clienti ci viene reso l’importo pagato per il prioritario con mille scuse ma noi siamo ancora lì, fermi sotto il sole cocente e senza sapere come fare. Dopo aver deciso di comunicare ai gestori la nostra volontà di andarcene, chiedendo quindi il rimborso di due notti di sosta, finalmente si offrono di portarci e venirci a riprendere, con tariffa taxi, che a noi ovviamente sta benissimo (magari dircelo prima di farci perdere quasi tre ore…).
Già l’ingresso apre lo sguardo alla magia.Pochi passi ancora e ci si trova sotto la cupola centrale.
Polemica fatta, ora procediamo con la visita alla città: meravigliosa!!! Si tratta di una città tra le più antiche d’Europa, situata nella Serbia centrale, proprio alla confluenza dei fiumi Sava e Danubio, all’incontro della penisola balcanica con la Pannonia: dal 1919 al 1929 fu la capitale del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, per poi rivestire il ruolo di capitale della Jugoslavia sino al 1992. E’ una vera e propria metropoli, con più di un milione e mezzo di abitanti, capitale economica, finanziaria, culturale e scientifica del paese, il cui nome in origine fu Singidun, di origine celtica, ma conosciuta anche come Alba Bulgarica, stante i decenni in cui i Bulgari dominarono il territorio. Il nome Beograd significa “città bianca” e le venne dato da Papa Giovanni VIII, nonostante venne usato per un brevissimo periodo, subendo l’assegnazione di nomi diversi a seconda delle dominazioni e delle occupazioni presenti sul territorio, tra cui Prinz-Eugenstadt durante l’occupazione tedesca subita nel corso del secondo conflitto mondiale.
La storia che ha accompagnato Belgrado è vastissima, motivo per il quale c’è tanto, tantissimo da vedere, oltre alla possibilità di vivere una città estremamente moderna e giovane, quindi vi accompagnerò nelle visite più rilevanti senza tediarvi, magari dividendo il tutto in due post, così come del resto la abbiamo visitata noi in due giornate.
Questo post tocca solo “Lei”, la bellezza assoluta, poichè le foto sono tante e non voglio appesantire l’articolo: il Tempio di San Sava, la più grande chiesa ortodossa dell’area balcanica, che si innalza per 70 metri e che in realtà vorrebbe imitare la cattedrale Hagia Sophia di Istanbul e che anche per questo ha subito pesanti critiche, tuttavia l’interno è di una bellezza da togliere il fiato.
Il tempio sorge al centro di Belgrado, collegato alla vasta piazza Slavija, ed è dedicato a San Sava, venerato in tutta l’Europa orientale e le cui spoglie vennero bruciate dai turchi su una pira proprio nel punto in cui sorge il tempio, che nacque un decennio dopo la liberazione dall’oppressione turca, inizialmente quale chiesa commemorativa e poi successivamente ampliato a partire dal 1906. I lavori però subirono svariati rallentamenti, prima a causa del conflitto con la Bulgaria, poi del primo conflitto mondiale, per riprendere nel 1919 e subire una ulteriore interruzione nel 1941 a seguito dei bombardamenti tedeschi; dopo altre sospensioni di varia natura si arrivò alla ripresa dei lavori ad opera del patriarca German, che negli anni proseguirono anche se ad oggi non risultano essere ancora terminati.
Il tempio presenta una struttura a pianta centrale sulla quale si apre la maestosità di una cupola dalla bellezza mozzafiato, mentre i lati corti, quattro in totale vista la struttura a croce greca , sono sormontati da altrettante semicupole, ottenendo una struttura abbastanza omogenea di 91 metri di lunghezza e 81 di larghezza, esternamente in marmo travertino e con la capienza per ospitare diecimila persone.
Scendiamo nella cripta…Immensa…
La cripta sono riuscita a vederla per un mero miracolo e di corsa in quanto, al momento della visita, era chiusa; ero rientrata per un attimo avendo dimenticato di cercare un particolare e, miracolo, la cripta era stata aperta… purtroppo di lì a pochi minuti il nostro accompagnatore ci sarebbe passato a prendere per riaccompagnarci all’area camper e, detto tra noi, guai a ritardare di mezzo minuto in quanto molto puntiglioso e pressante. La cripta, oltre alla bellezza, contiene il tesoro di San Sava e il sepolcro del despota Stefan Lazar Hrebeljanović. Da dire ce ne sarebbe ancora moltissimo, ma ho voluto darvi solo qualche informazione per la comprensione del luogo, il resto come al solito lo lascio alle immagini con la promessa di accompagnarvi a visitare il resto della città quanto prima. Purtroppo ultimamente vado al rallentatore perché ho un periodo pesantissimo dal punto di vista lavorativo, ma prometto di provarci ad accelerare un po’, nonostante ogni tanto inserisca qualche intervallo di lettura.
Terza tappa di questo viaggio improvvisato a Barcellona e finalmente ho raggiunto il mio grande sogno: trovarmi davanti alla Sagrada Familia, da sempre ammirata solo in fotografia. Si tratta della meraviglia architettonica, pur se incompiuta (e tutt’ora lo è, nonostante si stimi il termine nel giro di pochi anni), di Gaudì… imponente, meravigliosa, un tripudio di creatività, di linee sinuose, di allegorie della natura e di giochi di luce.
Non c’è un elemento decorativo uguale all’altro Vi ricorda l’ingresso di una grotta?
Il nome completo della basilica è Tempio Expiatorio de la Sagrada Familia, basilica minore di culto cattolico i cui lavori iniziarono nel 1882 sotto il regno di Alfonso XII di Spagna, inizialmente in stile neogotico che però, a seguito del subentro di Gaudì quale progettista, nel 1883, virò immediatamente sul liberty, arricchendo quindi ulteriormente la storia travagliata dell’edificio, sulla quale non mi soffermo in quanto quella che vorrei trasmettere è esclusivamente un’idea sull’estetica. Il progetto di Gaudì evolve, come già detto, da uno stile neogotico ad uno naturalista, tant’è che alcune delle fonti di ispirazione furono la grotta di Collbatò e la montagna di Montserrat, ciò in quanto egli riteneva che lo stile neogotico fosse imperfetto proprio in quanto non rispettoso delle linee naturali, essendo strettamente rappresentato da forme rettilinee, da pilastri e da contrafforti, contrariamente alle forme geometriche rigate aderenti alla natura. Gaudì osservò che in natura erano presenti innumerevoli esempi di direttrici, quali i giunchi, le ossa dello scheletro, tutti esempi funzionali ed estetici che egli riportò in architettura adattando quindi le forme naturali a quelle strutturali; ne è l’esempio (bellissimo, a mio parere) la forma elicoidale assimilata al movimento e l’uso dell’iperbole assimilata alla luce.
E qui inizia una carrellata fantastica di decorazioni variopinte!Che sia frutta?O fiori?Sembrano quasi elementi minerali…Mosaici ovunque (Gaudì cercò sempre di decorare anche usufruendo di materiale di scarto)Ma quanto bello è questo pinnacolo?Nonostante le impalcature è uno spettacolo
Nel corso del tempo l’opera subì molte interruzioni, principalmente a causa della scarsità di risorse economiche, tuttavia queste contribuirono a concedere del tempo libero a Gaudì per la ricerca di nuove soluzioni strutturali, sfruttandone anche alcune già adottate in altre opere precedenti, quali gli archi catenari, le gallerie e i viadotti, mentre le torri della Sagrada hanno tratto ispirazione dal progetto, irrealizzato, delle Missioni Cattoliche Francescane di Tangeri.
Sua maestà la LuceGli interni: senza parole!
Ma veniamo all’interno, strutturato sul modello di un bosco, con colonne a forma di alberi, aperti in rami a sostegno di volte intrecciate, le cui colonne a loro volta sono inclinate in maniera tale da fornire il miglior sostegno possibile alla struttura sovrastante, evitando quindi anche l’uso di contrafforti esterni. Questa è solo una breve descrizione per meglio comprendere ciò che stiamo visitando, ovviamente è possibile rinvenire delle descrizioni molto più accurate della mia e sicuramente più tecniche, in quanto quello che desidero trasmettere è l’emozione di trovarsi dinanzi ad un’opera così maestosa e totalmente priva della severità che normalmente contraddistingue degli edifici di tale portata. Spero di riuscire nell’intento condividendo qualche scatto che possa portare a vedere ciò che vi ho visto io…
L’ingrandimento non rende, ma si tratta di immagini sacre estremamente stilizzateQuesta dedicata a San LucaQui c’è l’esplosione della bellezza e della creatività La fantasia decorativa che si interseca con la luce
Mi accompagnerete ancora un po’ in giro per questa città meravigliosa, in occasione del prossimo post, ma nel mentre godetevi questo spettacolo unico al mondo!
Nel corso della mini crociera lungo le acque del Nilo siamo sbarcati ad Edfu, sita nel Governatorato di Aswan, dove sorge uno dei più bei templi dell’antico Egitto nonché il meglio conservato. Esso risale all’Antico Regno e venne restaurato, nel corso del Nuovo Regno nella XVIII dinastia, da Thutmosi III e successivamente inglobato nella nuova ricostruzione nel corso della dinastia tolemaica, le cui vestigia sono ancora visibili. Nel corso del 1860 venne liberato, ad opera dell’archeologo Auguste Mariette, dalle sabbie che lo seppellivano quasi totalmente, rivelando in tal modo l’ottima conservazione dell’edificio, compreso il naos e le tre colossali statue in granito nero rappresentanti altrettanti falchi dotati della doppia corona dell’Alto e Basso Egitto. Il tempio rappresenta l’archetipo del tempio con struttura “a cannocchiale”, con una teoria di sale sempre più piccole e più buie, fino al sacrario del naos, completamente avvolto dall’oscurità, perfetta antitesi del modello del tempio solare. Esternamente il pilone presenta, nei decori, delle rappresentazioni di Tolomeo XII nell’atto di sacrificare dei prigionieri al dio, altri sovrani tolemaici e la locale triade composta da Horo di Behedet, Hathor ed il figlio Ihi, oltre ad antichi dogmi religiosi tra i quali i quattordici ka del dio Ra ed altre divinità, tra le quali Ra-Harakhti, Hathor e Horo Sema-tawi, ossia “Horo che unisce le due Terre”.
Il mammisi del tempio, ossia il “luogo del parto”, sezione del tempio dedicato alla maternità Il passaggio da una stanza all’altra, dalla luce esterna verso il cuore dell’edificio I capitelli sono qualcosa di spettacolare in tutto il paeseIncisioni e capitelli ovunque
Tra i numerosi dettagli vi è la ricorrente immagine della barca solare, la “Festa annuale di Opet”, la posa della prima pietra del tempio e numerose altre che non sto ad elencarvi per non annoiarvi, del resto ciò che vi suggerisco, se ne avrete la possibilità, è di fermarvi a visitarlo perché ne vale davvero la pena. Tuttavia merita un cenno il sacrario, contenente il tabernacolo monolitico in granito, con la statua del dio falco Horo, eretto dal sovrano Nectanebo I della XXX dinastia, essendo il reperto più antico unitamente al supporto della barca sacra. Il tempio fu terminato il 5 dicembre del 57 a.C. dopo ben due secoli di lavori e risulta essere il secondo, per dimensione, dopo quello di Karnak, grazie ai quasi settemila metri quadrati che lo contraddistinguono, compreso anche il mammisi realizzato da Tolomeo VIII, pur se solo successivamente decorato ad opera di Tolomeo IX Soter II. Vi si svolgevano cerimonie religiose quali la Festa del Nuovo Anno, il matrimonio annuale di Horus con Hathor di Dendera e la vittoria del dio su Seth oltre alla suggestiva incoronazione annuale di un falco vivo, appositamente allevato nel tempio dai sacerdoti, del quale ancora oggi sopravvive la statua zoomorfa che sfida lo scorrere dei secoli.
La barca (questa è una riproduzione) nel naosLa barca, onnipresente nelle incisioniIl dio falco con la doppia corona del’Alto e Basso Egitto
Oggi ho dedicato il post ad un’unica visita perché il prossimo che vi proporrò sarà già molto complesso di suo e temo dovrò frazionarlo, quindi ne approfitto per lasciarvi qualche scatto di quella che è la vita locale, quella lontana dalle mete turistiche patinate in quanto, nonostante gli sfarzi di un’antica civiltà, ad oggi questo paese meraviglioso è abbastanza malmesso, la miseria si tocca con mano e vedere dei bimbi seminudi che giocano nella polvere sotto un ponte ti spezza il cuore… posso solo dirvi che l’umanità della gente ti accarezza il cuore e che ci tornerei mille volte, nella polvere, sotto un sole impietoso, ma davanti al paese vero, quello che in tutte le sue sfaccettature ti ruba l’anima.
I tuk-tuk, presenti ovunque e spesso guidati da ragazzini Scorci di vita in un paese dove l’infanzia non esiste
Vi lascio con questi pochi scorci, cui ne seguiranno degli altri, di spaccati di vita perché, al di là delle vestigia storiche che mi sono state presentate, il fascino di un paese nasce sempre da come lo vivi.
Stamani ripartiamo dall’area di sosta che ci ha accolti per la notte mentre il tempo sta cambiando: si sta sollevando un vento violentissimo mentre il cielo non promette nulla di buono, tant’è che raggiungiamo la prima tappa di oggi sotto il diluvio.
La chiesa che ci si para davanti è quella di Marienberg, la Wallfahrtkirche Maria Himmelfahrt, chiamata anche la “Perla della valle del Salzach”, considerata una delle più belle chiese rococò della Baviera… e a ragione! Ma veniamo a qualche traccia storica perché vi assicuro che ne vale davvero la pena: la struttura a due campanili domina tutta la piana circostante dalla sommità di una collina sovrastante il corso della Salzach e quando i monaci Cistercensi trasferirono il proprio monastero a Raitenhaslach, sul Marienberg sorgeva unicamente una cappella. Nel corso del secoli il santuario, luogo di pellegrinaggio, venne rinnovato ed ingrandito sino a quando, nel settembre del 1760, la chiesa venne totalmente ricostruita, su commissione dell’abate Emanuel II Mayr, artefice anche del monastero di Raitenhaslach, al costruttore bavarese Franz Alois Mayr e al pittore Martin Heigl, allievo del rinomato Johann Baptist Zimmermann. L’edificio venne consacrato nel 1764 ma, in seguito alla secolarizzazione, esso venne chiuso e parte degli arredi venne trasferita nel vicino monastero. La chiesa era già destinata alla distruzione, tuttavia fortunatamente i residenti si opposero strenuamente a tale decisione appellandosi al futuro re di Baviera Ludvig I, che fortunatamente acconsentì alla richiesta.
Per accedervi si salgono cinquanta gradini, suddivisi in cinque rampe da dieci, quale simbolo delle Ave Maria del Rosario, lungo le quali sono presenti svariate lapidi in memoria dei caduti dei due conflitti mondiali, ma è appena si varca la soglia che si compie la magia: non vi tedio con ulteriori descrizioni in merito alle opere ivi contenute, vi basti qualche traccia storica per meglio comprendere le vicissitudini del luogo… ammiratela e basta, è stupenda!
Anche la serratura è un capolavoro di maestria
Lasciata la chiesa, mentre la pioggia intensifica ulteriormente la sua portata, raggiungiamo il monastero di Raitenhaslach, sopra già citato e che resistette alla secolarizzazione fornendo anche luogo di sepoltura ai membri della dinastia Wittelsbach, nonostante le alterne vicende che portarono, dopo la consacrazione del 1186, alla distruzione della basilica romana a tre navate allora presente, sino ad arrivare al capolavoro barocco odierno, nuovamente ad opera del predetto Mayr e che ad oggi rappresenta un luogo di formazione e cultura ove si distinguono il Neuen Kloster, l’Alter Kloster e la Wasser Turm, ma anche questa volta il pezzo forte è lei, la chiesa, meraviglioso gioiello barocco. A voi le immagini, da rimanere a bocca aperta ancora una volta!
Anche le acquasantiere seguono il medesimo stile architettonico Ma quanto è carino l’Insektenhotel posto nel giardino?
Le specie ospitate
Sempre sotto un cielo gelido invernale raggiungiamo Tittmoning, piccolo centro molto carino ma, essendo un sabato pomeriggio di tempo impietoso, letteralmente deserto; raggiungiamo il castello grazie ad una salita abbastanza abbordabile, ma che non presenta alcun tratto di interesse storico o architettonico.
Il ponte che conduce al castelloUn particolare dell’ingresso
Rientrando sulla strada verso il parcheggio che ci ospita notiamo una curiosa fontana sovrastata da una cicogna e scopriamo che si tratta della Storchenbrunnen, realizzata intorno al 1625, raffigurante una cicogna con una serpe chiusa nel becco e rappresentante la vittoria del bene sul male; si narra, inoltre, che se si desidera un figlio sia necessario passarvi davanti e poi voltarsi…
La Storchenbrunnen
E con questo post vi lascio sino alla settimana prossima… devo proprio lasciarvi una buonissima ricetta dolce, facile e di effetto!
Ci siamo lasciati pochi giorni fa in Veneto ma vi avevo promesso una nuova ripartenza: stamattina siamo di nuovo seduti in camper alla volta della Baviera. Il tempo che troviamo sui Tauri è pessimo, del resto sulla zona montuosa è la normalità, ma il cielo nero e l’acqua a catinelle ci accompagnano fino a Laufen.
In realtà questa zona ve l’avevo già introdotta a dicembre, quando arrivammo sotto una bufera di neve, tuttavia oggi siamo riusciti a fare una passeggiata un po’ più approfondita nonostante il maltempo, scoprendo un piccolo centro ricco di case bellissime, purtroppo molto trascurato e lasciato andare a molteplici chiusure commerciali e all’incuria.
Palazzi riccamente decorati, questa è la Haus PauliL’apice della volta del ponte sulla Salzach
Il vecchio municipio
La cittadina fa parte del Berchtesgadener Land, in Baviera, ma non sono riuscita a trovare maggiori notizie in merito, né sulle guide turistiche né online, quindi mi limito a lasciarvi qualche scatto, soprattutto per le bellissime insegne che campeggiano lungo le viuzze e per il ponte, stupendo, quello che già mi colpì a dicembre e che collega la Baviera alla vicina Austria (non siamo lontani da Salisburgo).
La chiesa della cittadina, maestosa, stupenda…La struttura ariosa degli interni, in netto contrasto con l’esterno, possente e massiccio Le volte che percorrono il perimetro esterno dell’edificio Il ponte sulla SalzachDi là c’è l’AustriaMa quanto bello è?
Rientriamo al camper, lasciato in un parcheggio dedicato, gratuito e senza servizi, per sostarvi la notte, bagnati fradici e bisognosi di un ambiente riscaldato, una birra ed una fetta di torta, dopo tanti chilometri e tanta pioggia. Per domani speriamo in un tempo un po’ migliore, nel mentre ci riposiamo e ci organizziamo per una nuova tappa!
Ultima, e più bella, tappa della nostra piccola vacanza: lasciamo Schio per l’Altopiano di Asiago, da sempre incuriositi ma totalmente digiuni in merito, a parte i consigli generosamente forniti da mio figlio, ospite di un’amica per due estati di fila.
Già all’arrivo sull’altopiano mi si apre il cuore: una meraviglia! Paesaggio incontaminato, paesini graziosi, prati immensi che sembra quasi di stare in Austria, caseifici ovunque! Prima di fermarci in paese proseguiamo alla volta della chiesa della Madonna del Buso, attirati per la nota forra sita al di sotto dell’edificio: decidiamo di lasciare il camper a 500 m. dall’edificio a causa dei ricorrenti avvisi di limitazione dell’altezza a due metri (noi siamo a 3,15 e rimanere incastrati senza poter invertire il senso di marcia è l’ultima cosa che vogliamo), in realtà poi rivelatisi infondati, anzi… dinanzi alla chiesa vi è un bellissimo parcheggio che ci avrebbe consentito di manovrare il veicolo molto più agevolmente. Visitiamo la chiesetta e scendiamo lungo la scalinata scavata nel bosco fino al letto del fiume (in secca): uno spettacolo! Non aggiungo altro: ammirate voi stessi!
Il santuario La forraAncora piena di ghiaccio
Ritorniamo verso Asiago, una sosta per il pranzo e poi via verso il centro, ma non prima di aver fatto una deviazione per raggiungere il Caseificio Pennar: il paradiso se amate i formaggi e in generale i prodotti caseari. Esso nasce nel 1927, in seguito alla ricostruzione post bellica sulle rovine di un antichissimo caseificio turnario; oggi rispetta in toto il più rigoroso disciplinare nel rispetto della tradizione e dell’ambiente in quanto l’intero processo, dalla mungitura all’affinatura del formaggio, si svolgono in montagna. Il risultato è la qualità eccelsa e prezzi onestissimi, il che ci ha permesso di fare un po’ di scorta per le prossime settimane.
Terminata la tappa spendacciona ci siamo recati in centro: carinissimo e curato al top! Dopo tanti centri trascurati finalmente ho goduto di una cittadina che è un amore, piccola ma pulitissima, con dei negozi molto belli (purtroppo anche molto vuoti), un centro sicuramente da vivere! Noi ci siamo fatti una bella passeggiata nonostante il freddo cane e il vento gelido, ma ne è valsa davvero la pena: l’unico appunto che mi sento di fare, pur non avanzando alcuna critica, sono gli eccessivi divieti di accesso ai cani ovunque. Io provengo da una regione in cui, grazie ad una civilissima legge regionale del 2012, i cani entrano ovunque, tuttavia un po’ più di elasticità non mi avrebbe destabilizzata, specie in quanto ho incrociato molte persone con pelosetto al seguito e la temperatura esterna era davvero glaciale anche per i nostri quattrozampe.
Il palazzo comunale
Vi lascio la consueta carrellata di immagini e stavolta mi sa davvero che ci rivediamo a casa!
La statua di Santa Giovanna Bonomo, sopravvissuta ai bombardamenti del primo conflitto mondiale L’unico danno subito: le dita di una mano, praticamente è stata miracolata tenendo conto che tutta l’area circostante venne rasa al suoloIl duomo, spettacolare! Ora entriamo per ammirarne l’architettura Ci accoglie un interno stupendoDitemi se non è favolosa…Con il naso per aria… IncantevoleGli stupendi mosaici del battistero Una stupenda “Pietà” ci accompagna all’uscita
Non so se aggiungerò ancora qualche tappa al viaggio, qualcosa che valga la pena raccontare e raccomandare, quel che è certo che qui vogliamo ritornarci, c’è molto da vedere e da fare, i sentieri sono tanti e bellissimi, inoltre accanto al bellissimo parcheggio che ci ha ospitati per cinque euro al giorno, pur senza alcun servizio, stanno edificando un’area camper che si prospetta completa ed allettante. Asiago aspettaci!