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Abruzzo/ Viaggi

Eremo di Santo Spirito a Majella e Castello di Roccascalegna

Il complesso monastico.

Iniziamo la nostra seconda giornata di vacanza e la inauguriamo con una salita, folle per un camper della stazza di Chewbecca, che ci porta all’Eremo di Santo Spirito a Majella, tanto difficile quanta é stata la bravura di Luca ad arrivarci senza combinare danni, considerato anche l’errore ad un incrocio che ci ha portati ad una retromarcia da brivido.

L’ingresso della chiesa.
Gli interni.
La parte originale della volta.

La meraviglia del sito ripaga della tensione provata lungo la strada in quanto esso è situato a 1132 metri s.l.m. e sorge in un contesto naturalistico unico, scavato lungo una parete di roccia calcarea e circondato da una faggeta nel cuore dell’Appennino Centrale Abruzzese, all’interno del Parco Nazionale della Majella; la sua storia è intrinsecamente legata a quella di Pietro da Morrone, ovvero Papa Celestino V.

L’ingresso dell’eremo.

La storia dell’eremo evolve nel corso dei secoli, stante che i primi insediamenti risalgono all’VIII secolo, per poi divenire possedimento benedettino nel corso dell’XI secolo, periodo in cui vi trovó ospitalità anche l’abate Desiderio, il quale divenne Papa Vittore III nel 1086. Nel 1246 la chiesa venne riedificata in occasione dell’arrivo del suddetto Pietro e successivamente la confraternita fu annessa all’Ordine Benedettino.

Gli interni.
Alcune parti si affacciano all’esterno, svelando un panorama mozzafiato.

Essa rischiò la soppressione, anche questa scongiurata grazie all’intervento di Pietro presso il II Concilio Lionese, nel 1274, al punto che Pietro venne nominato Priore di Santo Spirito. Tuttavia ben presto egli iniziò ad allontanarsi sempre di più dall’eremo e nel 1293 egli si stabilì nell’Eremo di Sant’Onofrio, a Sulmona, trasferendo contestualmente la Casa Madre dell’ordine a Santo Spirito al Morrone.

Nel 1294 egli venne incoronato papa con il nome di Celestino V mentre la sua congregazione assunse il nome di Celestini, tuttavia dopo soli cinque mesi egli abbandonò la carica pontificia concludendo la propria esistenza nella Rocca di Fumone e spegnendosi il 19 maggio 1296.

La campana del campanile.

Da qui l’eremo iniziò un periodo di decadenza che trovò fine grazie all’abate Pietro Santucci da Manfredonia, che riportò il luogo all’antica bellezza, ulteriormente rafforzata nel 1646 ad opera del principe Marino Caracciolo, il luogo subí ulteriori vicende devastate tra incendi e abbandono, fino al 1893, quando Domenico Bonfitto restaurò definitivamente il sito riprendendo anche la pratica del “Perdono”, ancora oggi in vigore.

Stavolta vi ho fatto un pippone, ma il luogo è talmente bello che valeva davvero la pena approfondirne le vicende… purtroppo abbiamo lasciato il luogo subito dopo la visita, ma vi assicuro che vi sarei rimasta volentieri ancora un paio d’ore.

Un borgo interamente decorato!

Ripresa la strada, nuovamente da brivido, per il ritorno, ci siamo diretti alla volta di Roccascalegna: che incanto! Un borgo ricco di attività artigianali, riccamente decorato in ogni angolo, al punto che tutti gli sportelli dei contatori delle abitazioni sono dipinti con motivi floreali, sotto le volte dei ponti sono appesi merletti, tegole decorate e si ammirano ghirlande luminose in ogni angolo di strada!

Arriviamo al castello sotto un sole impietoso, ma la fatica viene ben presto ricompensata da un edificio bellissimo e mantenuto con amore e precisione! Si tratta di un’ampia struttura difensiva che sorge sulla cima di una sporgenza rocciosa, di fondazione molto antica ma più volte ampliato nel corso dei secoli, sino ad arrivare ai restauri del XX secolo che hanno permesso di renderlo visitabile.

Iniziamo la salita…
Però è bellissima!

Di fatto esso nacque dall’ampliamento di una semplice torretta di guardia longobarda, cui seguirono restauri ed ampliamenti, soprattutto ad opera dei signori di Annecchino e dei baroni di Carafa, con l’aggiunta di torri e l’edificazione della cappella del SantissimoRosario, in seguito anche grazie alla signoria dei Corvi, poi ne seguì la distruzione del ponte levatoio e l’edificazione della garritta all’ingresso, unitamente al rafforzamento del muro di protezione della rampa di accesso. Seguirono ulteriori crolli, finché il castello venne donato al Comune dagli ultimi proprietari, i Croce Nanni, decretandone quindi la rinascita grazie ad un cospicuo restauro.

Siamo all’interno.
Raggiungiamo la torre.
Che panorama, eh?

Il castello porta con sè alcune leggende, tra le quali quella in cui si narra che il barone del castello, tale Corvo de’ Corvis, pretese lo Ius primae noctis, ossia l’obbligo per tutte le donne del paese di trascorrere la prima notte di nozze con lui anziché con il neo consorte; si narra anche che egli sia stato accoltellato proprio da una di queste donne o dal proprio consorte e che la sua ultima impronta insanguinata ,in punto di morte, sia stata lasciata su una roccia e che la stessa, in occasione di ogni restauro, sia sempre ricomparsa nonostante i ripetuti lavaggi.

Tappa birra!
Sono anche simpatici 😀
Perchè faticare salendo e scendendo ripetutamente le scale per la terrazza?

Prima di lasciare il borgo, terminata la visita al castello, ci siamo fermati presso un birrificio artigianale… trovate i riferimenti nelle didascalie e, se passate di là, fermatevi per una pausa rinfrescante perché ne vale la pena!

Abruzzo/ Marche/ Viaggi

Di nuovo in viaggio!

Elcito, un borgo incantevole!

Ve lo avevo detto che ci sarebbero state novità vagabonde, vero? Benissimo, ieri nel pomeriggio, subito dopo il lavoro, abbiamo messo in moto il nostro fido Chewbecca e siamo partiti alla volta delle Marche, direzione Abruzzo.

L’intenzione era di arrivare in serata alla nostra prima tappa ma, a causa del traffico, ci siamo fermati a dormire lungo la strada, per poi ripartire stamani prestissimo alla volta di Elcito, denominata “la Tibet italiana”; sia chiaro che io detesto questi paragoni ma, al di là di questo, si tratta di un piccolo borgo incantevole. Abbiamo lasciato il camper al primo parcheggio, quello più lontano, per raggiungere il borgo attraversando un boschetto abbastanza ripido ma meraviglioso, un tripudio di fiori per la gioia di Margot e di Milly, la new entry in famiglia.

A proposito… Margot…
E la new entry Milly, quattro mesi di vivacità

Elcito è una frazione di San Severino Marche, in provincia di Macerata, che sorge arroccato su uno sperone roccioso di 821 metri alle pendici del monte La Pereta ed è quanto rimane di un castello eretto a difesa dell’abbazia benedettina di Valfucina. Ad oggi è abitato soprattutto nel corso del periodo estivo in quanto molti residenti nelle zone limitrofe vi posseggono delle seconde case ma, sino agli anni settanta, era un borgo completamente autosufficiente, tant’è che attualmente è privo di esercizi commerciali. Allo stato attuale, dall’ultimo censimento, è risultato che gli abitanti avente residenza ad Elcito sono solamente sette!

La posizione é incantevole e il silenzio gradito, come viene ricordato dalla segnaletica sparsa lungo le vie del borgo, le stradine sono perfette ed intonse e di fatto la breve visita regala la sensazione di vivere in un paese fatato.

L’unica attività commerciale, che lavora senza sosta, è un “buchetto” presso il quale rifocillarsi, dalla qualità eccellente e i prezzi onestissimi.

Crescia, insaccati e porchetta: potevamo rinunciare?

Lasciato Elcito ci dirigiamo verso Civitella del Tronto, con il suo castello vasto e bellissimo e il suo borgo che è un amore rimasto incastonato nel tempo, sito in provincia di Teramo e facente parte del club de “I borghi più belli d’Italia”.

L’ingresso alla fortezza di Civitella.

Iniziamo con la visita al castello, totalmente accessibile anche ai cani, che risulta essere la fortezza spagnola più grande d’Italia, conservata molto bene e tuttora in fase di restauro, che si eleva sulla parte più alta del paese; é un’opera di ingegneria militare di portata vastissima in quanto costituita da più elementi tra di loro indipendenti eppure complementari, quasi una sorta di città autonoma, realizzata da architetture di epoche diverse tra di loro collegate da una serie di rampe. Essa sorge su una preesistente struttura medievale, voluta da Filippo II d’Asburgo, re di Spagna, nel XVI secolo e ad oggi ospita anche un piccolo e curatissimo museo.

Esplorando le vie del borgo scopriamo la Ruetta, la via più stretta d’Italia, e visitiamo la chiesa di San Francesco, l’unica che riusciamo a vedere in fase di chiusura, ma vi lascio alle foto!

Da qui si accedeva alla cisterna dell’acqua.
La cisterna, la cui acqua veniva filtrata mediante un sistema a base di legna e carbone.
Si sale ancora…
… verso ciò che rimane del Palazzo del Governatore
Con il suo pozzo personale.
Gli alloggi degli ufficiali.
E quelli dei soldati.
Uno dei reperti del museo: l’elmo di Pio IX, soldato pontificio.
Lo spettacolare panorama sul Gran Sasso, ancora innevato.
Salendo lungo le vie del borgo…
Fino ad incontrare la Ruetta.
Scendiamo nuovamente le stradine del borgo per ritornare al camper.
Incontrando scorci bellissimi.
Ed un tramonto meraviglioso… a domani!
Baviera/ Germania/ Viaggi

Un fine settimana in Baviera (di nuovo!)

Un pontile sul Chiemsee

A noi la Baviera piace, si era capito? Abbiamo però un secondo fine: un paio di volte l’anno facciamo tappa in un Getränkemarkt per fare scorta di birre “serie”, molto più buone di quelle nazionali o importate, almeno per il nostro gusto, e decisamente economiche essendo uno dei prodotti di punta della zona. Quindi, come già qualche mese fa, riportiamo i vuoti, che qui sono a rendere e, applicato il reso, rifacciamo una bella scorta visto che mio marito e mio figlio sono dei birraioli convinti (io in realtà apprezzo di più un buon vino).

L’imbarcadero “vigilato” da Ludwig di Baviera
La targa lui dedicata che ne ricorda il prematuro decesso, avvenuto in circostanze abbastanza dubbie
Merenda sul lungolago

Anche stavolta facciamo un po’ i turisti e accompagnamo nel tour guidato 🤣 due amici camperisti come noi, nonostante i pochissimi giorni a disposizione come al solito: partenza alla volta del Chiemsee con sosta a Priem am Chiemsee, che sorge sull’omonimo lago, vi arriviamo in poche ore essendo una delle mete facilmente raggiungibili da Trieste e una passeggiata sul lungolago non ce la toglie nessuno, complice la giornata splendida e caldissima, progettando la gita di domani.

Le increspature createsi dopo il passaggio del traghetto
La piccola ferrovia turistica del Chiemsee
Possono mancare i cigni?
Angolini deliziosi
E fiori ovunque!

Noi la ricordiamo come una delle più belle gite fatte in passato, tant’è che vi ritorniamo volentieri per accompagnarvi chi invece non conosce la zona: il pomeriggio in cui arriviamo fa un caldo che sembra estate, tant’è che i ragazzini sguazzano nella piscina all’aperto, dall’acqua bel riscaldata ma la sensazione dell’estate si fa forte. Una passeggiata sul lungolago, una merenda all’aperto visto che abbiamo saltato il pranzo, per poi organizzare per l’indomani il giro in barca, quello che ci porterà prima all’Herreninsel (l’Isola degli Uomini) e poi alla Fraueninsel (l’Isola delle Donne).

Sul pontile in attesa del traghetto

L’indomani la giornata è tersissima, un sole meraviglioso e, contrariamente al giorno precedente, fa un freddo becco, motivo per il quale partiamo sottocoperta alla volta dell’Herreninsel, la quale ospita uno dei castelli di Ludwig di Baviera, magico e bellissimo come gli altri due (Neuschweinstein e Linderhof, che se mi capiterà di visitare nuovamente vi proporrò, avendoli visti più volte ma sempre in tempi “non sospetti” di blog).

Navighiamo verso la prima isola

Il castello di Herrenchiemsee (Neues Schloss Herrenchiemsee) risale al XIX secolo, tant’è che è conosciuto anche come Neues Schloss Herrenwörth, in quanto riprende l’antico nome dell’isola: esso venne edificato ad iniziare dall’anno 1878 su iniziativa di Ludwig II di Baviera e su ispirazione della reggia di Versailles, progettato da Georg von Dollman e realizzato in gran parte da Julius Hofmann. Ludwig vi visse solo pochissimi giorni nonostante la vastità del progetto, in quanto lo stesso venne trovato annegato in pochissimi metri d’acqua nel 1886, lasciando incompiute alcune parti dell’opera e gettando non poche ombre sulla scomparsa del sovrano, ombre più che giustificate visto che le sue manie di grandezza ridussero sul lastrico le casse bavaresi e crearono non poco malcontento nell’intero Land.

Ed eccolo, affacciato su un giardino immenso!

Nell’estate del 1867 Ludwig intraprese un viaggio in Francia, la cui tappa principale era proprio la Reggia di Versailles, tuttavia a seguito dell’improvviso decesso dello zio Otto egli fu costretto a rientrare in patria senza avere la possibilità di visitare la reggia, da qui l’idea di “portare in patria” la bellezza della stessa, che in origine sarebbe dovuta sorgere nei pressi del Linderhof, il cui castello vi ho citato sopra. Il progetto venne rielaborato più volte, specie in quanto il sovrano desiderava venisse realizzata una sezione ispirata dal Grande Trianon o dal castello di Marly, contenendo quindi una riproduzione della Galleria degli Specchi e della facciata affacciata sui giardini, il tutto però fu impossibile da realizzare nel luogo indicato per carenza di spazio.

Il salone più vasto del castello
Un maestoso lampadario in ceramica di Meißen e fiori in seta

Ludwig ritentò più volte il sospirato viaggio a Versailles, finchè nell’estate del 1874 egli raggiunse il proprio obiettivo e venne accolto, in occasione del suo compleanno, da uno spettacolo di giochi d’acqua, lasciandogli quindi come ricordo un vero e proprio sogno della tanto amata Versailles; da qui la ripresa del progetto, però focalizzato non più nella zona montana del Linderhof ma su un terreno lacustre acquistato l’anno prima, molto vasto e corrispondente proprio alla zona del Chiemgau. Il sovrano bavarese era un grandissimo estimatore di Luigi XIV, il Re Sole, da cui la similitudine con Versailles ne è rappresentativa, al pari del Castello di Neuschwanstein, che nelle forme e nello stile rammenta il mondo medievale e le opere di Richard Wagner, mito musicale di Ludwig, come del resto il castello di Herrenchiemsee è chiaramente ispirato allo stile dei re Borboni francesi.

Il castello oggetto della nostra visita fu non solo il più costoso dei tre realizzati, ma nei pochissimi giorni in cui Ludwig vi visse ospitò l’attrice Marie Dahn-Hausmann, la cui visita richiese la costante illuminazione della sala degli specchi (e vi assicuro che ce ne voleva…) nonchè molteplici addobbi floreali negli interni del palazzo; egli inizialmente sovvenzionò le spese con il proprio patrimonio, ma purtroppo ben presto le casse pubbliche vennero depauperate dalle follie regali, il che porta a sospettare della “banale” morte occorsegli.

Uscendo dal castello merita una visita anche l’annesso museo, inaugurato recentemente quindi per noi una visita inedita.

Uno scorcio della chiesa sita sulla Fraueninsel
La bellissima volta dell’interno

Dopo la visita al castello e all’annesso parco, immenso, ci siamo reimbarcati alla volta della Fraueninsel, molto più piccola e carinissima, la quale offre la visita alla chiesta e al monastero , purtroppo chiuso per un convegno, oltre ad una botteghina ricca di prodotti artigianali realizzati dalle monache isolane.

Uno scatto dei giardini del convento, purtroppo questa volta chiusi

L’isola ospita un antico convento femminile fondato dall’allora duca di Baviera Tassilone III, nel 782, poi distrutto più volte e ricostruito un millennio dopo su fondamenta carolinge, tant’è che ancora oggi è visibile la porta carolingia; ad oggi ospita le religiose benedettine mentre, all’interno della chiesa, si venerano le reliquie di Sant’Irmengarda, deposte nell’omonima cappella.

Lo stile carolingio ancora visibile

Il resto dell’isoletta ospita ristorantini e birrerie aperte al turismo, che chiaramente nella stagione estiva si fa molto intenso.

Al rientro in camper potevamo non meritarci una tappa golosa?
Una Traunstein fiorita ci accoglie

Il giorno seguente abbiamo visitato un piccolo paese limitrofo, Traunstein, incuriositi in quanto la sigla della cittadina è “TS” al pari di quella della mia città, ma si è trattata di una visita molto breve viste le dimensioni ridotte del centro storico. Vi lascio la consueta carrellata di scatti e ci vediamo molto presto in quanto stiamo già impostando le prossime tappe sul navigatore… e vi assicuro che manca pochissimo! Nel mentre vedo se riesco a postarvi qualche piccola gita meritevole nei dintorni della mia città, perchè ne ho qualcuna davvero carina anche se il post risale a molti mesi fa. Alla prossima proposta!

Il muro finemente lavorato di una farmacia
La HB della cittadina, birreria storica
E la meravigliosa cena che ci siamo regalati l’ultima sera!
Con birra locale e Wienerschnitzel mit pommes frites… potevano mancare?
I bellissimi interni del licale in cui abbiamo cenato
Austria/ Viaggi

Un fine settimana tra Baviera e Tauri

Ogni tanto riusciamo a ritagliarci un fine settimana per gironzolare a bordo di Chewbecca: avevamo molta nostalgia dell’Austria e della Baviera, quindi, dopo giorni di sospirata attesa siamo riusciti a partire, tralasciando i consueti problemi per organizzare il tutto visto che ogni volta capita qualche imprevisto, ma ce l’abbiamo fatta.

Verso la Baviera

L’equipaggio è il solito: io, mio marito, Margot e Bubu, le nostre codine a quattro zampe, diretti per la prima tappa (e la prima notte) direttamente in Baviera (confesso che due volte all’anno andiamo nei Getränkemarket e facciamo scorta di birre buonissime oltre a riportare i vuoti della volta precedente) e da lì, il mattino seguente, a Randstadt, cittadina di sport invernali sui Tauri, visto che la distanza dalla Baviera è di meno di un’ora.

Del resto “RAD” (di Radstadt) significa ruota, bicicletta.

La quintessenza dell’autunno
Ma quanto sono carini… manca solo lo gnomo che fa capolino

Questa sera abbiamo fatto una breve passeggiata lungo il Kaiserweg, un sentiero carinissimo che ci ha letteralmente inondati d’autunno e del quale vi lascio qualche scatto, ma ci rivediamo domani per esplorare la cittadina.

Una delle porte di accesso alla città

Stamattina ci aspetta una giornata estiva: all’ora di pranzo abbiamo toccato i 24 gradi e, pur non abbigliati per il freddo, comunque ci siamo sciolti, specie mentre pranzavamo su una terrazza dell’hotel con una Wiener Schnitzel, patatine fritte e gelatone, non un pasto da cinque stelle ma era l’unico locale aperto. La nostra idea era di visitare la Torre dei Cappuccini, ma (udite un po’…) il fine settimana è chiusa, quindi abbiamo semplicemente visitato la chiesa parrocchiale, della quale non sono riuscita a rinvenire il nome (chiamata semplicemente Stadtpfarrkirche), molto semplice ma curata nei minimi particolari; è la classica struttura circondata da un piccolo cimitero ma decorata all’interno con zucchette e piante di erica, quindi in sintonia con la stagione, oltre alla graditissima presenza di un’area per i bambini, con un tappeto ed uno scatolone di giocattoli… non frequento le chiese ma l’ho trovato davvero un tocco di delicatezza incredibile anziché leggere di sacerdoti che cacciano i bimbi lamentosi, che giustamente si annoiano durante le funzioni.

La chiesa parrocchiale.
Alcune decorazioni a tema autunno interne alla chiesa.
E queste le abbiamo incontrate passeggiando per il centro.
Una panoramica del centro, piccolissimo.
E una dell’intera cittadina.


È seguita una passeggiata lungo l’Enns, il fiumiciattolo del paese, che nella sua semplicità è stata una gioia per gli occhi e del quale vi lascio alcuni scatti; in definitiva se volete sciare attendete ancora un po’ ma se la vostra intenzione è rilassarvi e riposare si tratta di una località che potrebbe fare al caso vostro.

Due bimbe felici!

Mi sono goduta un fine settimana di relax a tutto tondo, immersa nella dolcezza dell’autunno, ho fatto felici le mie bimbe pelose e ho avuto comunque modo di conoscere una località diversa senza stressarmi come delle volte mi accade durante i nostri viaggi.

La Torre della Strega, in perfetto spooky stile visto il periodo dell’anno.
Con tanto di streghetta sulla sommità.

Ora però vi lascio anche qualche cenno storico, trovato a fatica e solo alla fine della giornata: Radstadt è situata a 856 m. slm ed è circondata dai due gruppi montuosi del Dachstein a nord e del Radstäter Tauern a sud; l’area fu colonizzata dai Celti nel IV secolo a.C., per poi finire sotto mano romana. Una delle sue strade dí maggior rilievo conduce da Aquileia direttamente a Iuvavum, l’odierna Salisburgo, tramite i Radstäter Tauern. Però la vera storia di città di montagna inizia nel VII secolo d.C. con l’insediamento bavarese; il nome ancora non è stato chiarito se fisse di origine slava o germanica, viste le varie versioni di Rastat (1074), di Radestat (1092) e di Rastat (1139). Nel corso del XIII secolo la città venne fortificata e fu anche il primo centro del Salisburghese, sotto l’arcivescovo Rudolph von Hohenegg, a ricevere il diritto di città il 27 luglio 1289. Essa subì molti incendi e ciò portò alla distruzione di diversi edifici storici, inoltre dovette resistere anche alle rivolte contadine nel periodo 1525/26, uscendone vittoriosa, tant’è che gli sconfitti dovettero espiare le proprie colpe costruendo tre torri circolari. Nel 1816 l’arcidiocesi di Salisburgo divenne terra della corona austriaca.

Nota: questo post risale all’autunno ed è rimasto in archivio in quanto desideravo portare a termine il tour serbo, motivo per il quale vedete ancora la piccola Bubu… e a me si stringe il cuore ♥️

Serbia/ Viaggi

Novi Sad e il nostro rientro a casa

Il ponte che ci permette di arrivare in centro

Ultima tappa: Novi Sad, oramai non molto distanti dall’Italia, visitata in due giorni sotto un caldo atroce, letteralmente saltellando da una chiazza d’ombra all’altra per non far ustionare le zampette alle nostre cagnoline. Il parcheggio come al solito è lontano dal centro, al quale si accede per il tramite di un ponte immenso che attraversa il Danubio ma che già al primo sguardo appare molto gradevole, in effetti molto diverso dalle città del sud e del centro della Serbia; qui lo stile architettonico appare molto simile a quello della Slovenia e dell’Austria, ma iniziamo con qualche traccia storica per contestualizzare quest’ultima visita.

Alla fine del XVII secolo la zona (siamo nella Vojvodina) divenne un possedimento degli Asburgo e alla popolazione ortodossa della regione venne vietato di abitare a Petrovaradino, motivo per il quale nel 1694 venne fondato un nuovo villaggio sulla sponda sinistra del Danubio, chiamato Ratzen Stadt (Città dei Serbi) o Petrovaradinski Šanac. In seguito vennero costruiti i primi quartieri e i residenti aumentarono, da qui la città venne chiamata ufficialmente Neoplanta, ossia Nuovo Insediamento, tradotto dal latino, quindi Novi Sad.

Il centro cittadino non è molto esteso ma estremamente elegante, arricchito da una vasta zona pedonale, preceduto, all’ingresso in città, dall’accesso alla Petrovaradinska Trdava, una fortezza vastissima e che visitiamo appena lasciato il parcheggio. Essa copre, con i suoi bastioni, rivellini e contrafforti, una grande spianata sulla riva destra del Danubio; tutta l’area era abitata dai Celti, in seguito sostituiti dai Romani, fino alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, quando i Bizantini rinsaldarono i confini del loro stato e la precedente roccaforte romana di Cusum venne ingrandita con il nome di Petrikon, poi conquistata dagli Ungheresi. Senza inondarvi di ulteriori notizie vi basti sapere che la sua posizione sul Danubio era strategica e quindi fortemente ambita, tant’è che ben presto vedremo la presenza dei turchi e la convivenza con un gran numero di famiglie musulmane. Oggi la città è parte della provincia autonoma della Voivodina, appare molto curata e vivace, quindi vi accompagno nella visita più calda del viaggio.

La porta di accesso alla città
Attraversiamo la porta facendo attenzione ai tiranti, non molto conformi alle regole cui siamo abituati, che rafforzano la struttura.
La parte più antica di Novi Sad
La saluta alla fortezza
L’orologio della fortezza di Petrovaradin

La particolarità di questo orologio risiede nel fatto che le sue lancette d’oro segnano, rispettivamente, l’ora con la lancetta lunga e i minuti con quella corta; esse sono state restaurate di recente e ricoperte con la vernice bianca, probabilmente per ragioni di economia ma, secondo alcune voci, per nascondere l’oro sottostante ai malintenzionati.

La chiesa cattolica del Nome di Maria
La neogotica cattedrale di San Giorgio
Scorte d’acqua potabile ad uso e consumo dí chiunque vista l’ondata di calore.
Un tram trasformato in bar, carinissimo!
Pranzo in un localino sparso tra le viuzze della città
Un ristorantino nascosto tra le viuzze del centro
Con il mio consueto pasto vegetariano
E la carne per Luca
A passeggio lungo la fortezza
Un po’ di ristoro allietati dall’aria della fortezza mentre lo sguardo si perde sulle acque del Danubio.

Qui si conclude il nostro viaggio serbo, terra in cui non pensiamo di ritornare avendo visitato davvero molte città, ma ne approfittiamo per godere ancora di una visita lungo il viaggio di ritorno, infatti ci fermiamo al monastero di clausura di Pleterje, situato in una valle ai piedi dei monti Gorjanci, in Slovenia. Esso fu fondato nel 1403 dal conte Hermann II di Celje, per poi, dopo molteplici acquisizioni da parte degli Asburgo e dei Gesuiti, passare sotto l’egida statale ed essere completamente rinnovato nell’arco di un quinquennio. La Certosa subì gravi danni nel corso del secondo conflitto mondiale ma è rimasta sino ad oggi un monastero certosino i cui edifici risalgono alla seconda fondazione alla fine del XIX secolo, ad eccezione della chiesa gotica della Santissima Trinità, che sopravvive al precedente monastero. Il tutto presenta una piccola rivendita in cui acquistare degli ottimi vini prodotti in loco dai monaci, di qualità degna di nota e grazie alla cui vendita il monastero riesce a mantenere la struttura.

Il rientro a casa ci ha lasciato un paio di giorni liberi, trascorsi lungo un corso d’acqua balneabile, in terra slovena, che ci ha permesso di riprendere fiato, di riposare e di rinfrescare le povere cagnoline che, va detto, sono state eroiche. Bubu la vedrete anche nei prossimi post che vi proporrò a breve, ma ve lo dico con il cuore il mano poiché poche ore fa è volata via lasciandoci in un dolore inimmaginabile… questo ultimo post vuole essere un tributo ad un cane eccezionale che capiva ogni parola le rivolgessimo, un cane coraggioso e di gran carattere, una presenza dignitosa ed orgogliosa che ci ha accompagnati in questo ultimo tour nonostante la malattia le stesse divorando i polmoni ma piena di gioia inconsapevole come sempre. Tesoro mio, stavamo organizzando il prossimo viaggio tra i monti proprio per te, per regalarti un po’ di relax dopo tanti chilometri di fatica, ma non ce l’hai fatta ad arrivarci. Ti vorrò per sempre un bene immenso… vola alto!

Questa foto è stata scattata in casa pochi giorni fa, ma vuole essere un tributo a Lei, la Bubu del mio cuor ♥️.
Serbia/ Viaggi

Penultima tappa del nostro viaggio in Serbia: Manastir Svete Petke.

I giardini del complesso monastico

Nel corso del nostro viaggio itinerante avevamo già incontrato Sveta Petka, ma questa è un’altra tappa, totalmente incentrata sull’omonimo monastero, nonostante purtroppo la chiesa la abbiamo trovata chiusa. A questo punto però, vista la figura ricorrente della santa, approfondiamo un po’ il motivo di tanta notorietà: Petka nacque da una devota e benestante famiglia greca a Epibatai, l’odierna Selimpaşa, non lontano da Costantinopoli, e con il fratello Eutimio crebbe con un’eccellente istruzione religiosa all’interno della famiglia, tant’è che quest’ultimo entrò per primo nell’ascetismo monastico, fino a raggiungere il livello di anacoreta e poi episcopo di Mydios in età avanzata. Petka invece, dopo la morte dei genitori, decise di ritirarsi prima in un monastero del Ponto e successivamente in un monastero femminile in Terrasanta; ella predicò il cristianesimo e la vita monastica femminile, fino a quando, in sogno, le apparve un angelo a comandarle di rientrare al paese nativo. Nel corso del viaggio di ritorno Petka si fermò a Costantinopoli, presso il Santuario di Blacherna, per venerare l’icona della Madre di Dio, per poi riprendere il viaggio sino alla città natía e morirvi pochi anni dopo. Ripetuti miracoli avvennero successivamente presso il suo sepolcro, il che portò alla riesumazione dei suoi resti, che vennero trovati incredibilmente intatti; le reliquie vennero quindi traslate presso la chiesa dei Santi Apostoli di Epivat e poi spostate a Veliko Târnovo, antica capitale bulgara. Il 14 ottobre viene commemorata la sua figura e la sua venerazione si estende fino alla Romania. I suoi resti vennero spostati più volte fino a trovare dimora nella cattedrale di Iași, capoluogo della regione Moldova di Romania.

Santa Petka
La chiesetta chiusa per restauro

Fatto l’excursus storico, vi accompagno in questo complesso monastico, stupendo nonostante la chiusura della chiesetta a causa del restauro in corso, ma ricco di meli, di passeggiate nel verde e comprensivo di un fornitissimo negozio ricco di liquori prodotti dalle monache oltre ai consueti articoli religiosi.

Un chiosco nel giardino
All’interno del chiosco
La cappella annessa alla chiesa

Non ho rinvenuto molte altre notizie in merito al luogo che ci ospita, tranne la particolare qualità dell’acqua che scorre poco prima di accedere al complesso monastico, che viene offerta gratuitamente a chiunque si presenti con le bottiglie da riempire, oltretutto ritenuta salutare e miracolosa (posso confermare essere fresca e buonissima).

Arte, storia ed architettura/ Serbia/ Viaggi

La Fortezza di Smederevo

Riprendo la visita a Smederevo da dove l’ho lasciata nel post precedente, già abbastanza lungo, che forse avrebbe penalizzato la visita alla fortezza, il che mi sarebbe dispiaciuto: si tratta infatti di una città fortificata medievale costruita tra il 1427 e il 1430 da Djurad Brankovic, a capo del Despotato di Serbia, poi ulteriormente fortificata dagli Ottomani, che conquistarono la città nel 1459.

La struttura pende in maniera vistosa ma regge da secoli

La fortezza subì vari attacchi sia dagli Ottomani che dai Serbi, tuttavia la sua struttura resistette senza grossi danni ad ambedue, per poi però subire gravi danneggiamenti nel corso della Seconda Guerra Mondiale; nel 2009 venne portato avanti un grosso intervento di restauro, vista la bellezza della struttura, tant’è che nel 1979 venne dichiarata “monumento culturale di importanza eccezionale” mentre, nel 2010, è stata candidata ad entrare nel Patrimonio mondiale dell’umanità dell’UNESCO.

Al tramonto… la magia!

Essa dista meno di 50 km. da Belgrado e sorge sulla riva destra del Danubio, esattamente nei pressi della confluenza di quest’ultimo e della Jezava, posizione che permise alla capitale di rimanere vicina al Regno d’Ungheria pur favorendo il sultano ottomano Murad II al fine di impedire agli ungheresi il passaggio incontrollato nella valle della Grande Morava, insomma un atteggiamento assolutamente diplomatico. Del resto anche nel corso dei secoli la sua posizione tra i Balcani e l’Europa centrale ne ha favorita l’importanza quale centro religioso e ne ha tutelato lo sviluppo commerciale.

Il Danubio infuocato

Attualmente essa ospita un parco pubblico, occasionalmente ospita festival, concerti, sagre ed altri eventi pubblici, tant’è che vi è presente un palco fisso, oltre alla presenza di un imbarco dal quale si accede al lungofiume; di storia ce ne sarebbe ancora tanta da raccontare, ma sapete che mi annoia e che mi limito al minimo per comprendere il posto in cui mi trovo, ma vi voglio appuntare ancora un particolare, ossia che la fortezza è stata costruita secondo la tradizione bizantina, esattamente sul modello della fortezza di Costantinopoli.

Per il resto vi lascio alle foto, che valgono sempre più di mille parole…

Arte, storia ed architettura/ Serbia/ Viaggi

Di nuovo a scoprire la storia al Viminacium e tappa a Smederevo

La villa dell’area archeologica

Dopo la meravigliosa visita a Golubac ripartiamo alla volta di un altro sito archeologico, quello di Viminacium, importante città dell’Impero Romano, nonchè capitale della provincia della Mesia, sempre lungo le rive del Danubio, silenziosa e costante presenza in questo nostro viaggio molto “on the road”.

Siamo entrati in questo pertugio per esplorare tutta la necropoli

Viminacium venne fondata nel I secolo lungo le rive della Mlava, un affluente del Danubio, tra la fine del principato di Augusto e l’inizio di quello di Tiberio, ma sotto l’egida dell’imperatore Claudio, a seguito dell’annessione della Tracia, il sito iniziò ad ospitare una fortezza legionaria, con il conseguente trasferimento della legione da Naissus (odierna Niś) a Viminacium e rendendo il luogo una sorta di quartier generale delle truppe romane, le stesse che condussero la campagna militare di Traiano contro Decebalo e le sue truppe daciche. Se rammentate il mio post dedicato alla navigazione sul Danubio, avevo inserito un riferimento alla Colonna di Traiano sita a Roma: ebbene, l’anfiteatro rappresentato su di essa è proprio quello del Viminacium.

L’anfiteatro

La località, sotto Adriano, ricevette il rango di municipium, mentre in seguito si fregiò del titolo di capitale della Mesia superiore: proprio qui Caracalla venne proclamato Cesare, nel 196, fino al raggiungimento dello status di colonia romana intorno all’anno 240, tant’è che la zecca di Viminacium coniò monete per diversi imperatori. Da Viminacium transitarono Costantino, Diocleziano, Giustiniano, gli Unni che la ridussero in macerie, certo è che con tutta questa storia che l’ha percorsa nei secoli il sito archeologico offre una varietà di reperti non di poco conto, al punto da essere ribattezzata la “Pompei dei Balcani”; certo è che tutta la zona porta la memoria dell’antica civiltà romana, avanzatissima e ricca di cultura, il che ci porta al consueto quesito, già posto in occasione della scoperta dell’Egitto, ovvero di come una grande civiltà possa lasciare, ad oggi, un paese in così tanta miseria e arretratezza.

Ma quanto sono carine queste panchine incontrate a Smederevo?
La chiesa di San Giorgio
Il pavimento è curiosamente inclinato

Lasciato il sito ci dirigiamo a Smederevo, centro molto grazioso che per un breve periodo, nel corso del XV secolo, fu insignita del titolo di capitale della Serbia e il cui moderno fondatore fu il principe Djurad Brankovic, il quale ne iniziò la costruzione nel 1430 per poi divenire, in Ungheria, il signore di Tokaj, dove iniziò a piantare dei vitigni provenienti proprio da Smederevo e dando origine al noto vino bianco dal quale ha tratto il nome. Da amante del vino non potevo omettere questa curiosità…

Siamo oramai al tramonto e anche questa visita è terminata…

Anche Smederevo, nel corso degli anni, subì la conquista ottomana e divenne ben presto campo di battaglia tra Ungheresi e Ottomani, i quali se la contesero per lunghi anni in un’alternanza di tregue e conflitti, fino al secondo conflitto mondiale, quando venne occupata dalle truppe naziste tedesche e, nel 1999, venne bombardata dagli aerei della NATO; insomma si tratta di una città pesantemente contesa, maltrattata, danneggiata, un po’ come tutta la terra di Serbia, dai vecchi fasti in epoca romana ai devasti successivi, voluta da chiunque e lasciata in uno stato irrispettoso, in mano ad un popolo nazionalista ma estremamente confuso in merito ad una possibile rinascita.

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Kovilj Manastir, Bodjani Manastir e Castello di Bač

Come già riscontrato in altri paesi, vengono allestite delle piattaforme tutte per loro
Kovilj
Il cortile interno del monastero

Kovilj rappresenta il primo monastero che incontriamo rientrando verso casa, uno splendore assoluto cui ho voluto dedicare un post a parte per non appesantire il tutto con troppe fotografie: si tratta di una struttura religiosa dedicata a Sant’Arcangelo, fondato nel 1220 da San Sava per commemorare l’incontro diplomatico tra il re di Serbia e quello d’Ungheria, notoriamente in costante conflitto e che, grazie a tale incontro, prevenirono l’ennesimo scontro. Il monastero venne dedicato ai santi Arcangeli Gabriele e Michele, tuttavia esso subì, come di consueto, molteplici eventi avversi e tra distruzioni, ricostruzioni e rimaneggiamenti vari oggi possiamo ammirare un edificio di rara bellezza, noto anche per ospitare un coro di canti bizantini i cui maestri vantano la fondazione della Scuola di canto bizantino di Novi Sad.

Tutta questa meraviglia l’abbiamo ammirata al monastero di Kovilj
Accediamo al giardino del monastero di Bodani

Il Monastero di Bodani, invece, trova le sue prime tracce sulle prime pietre edificate dal mercante Bogdan, nel 1478, quale segno di gratitudine alla Vergine per avergli guarito gli occhi, mentre l’attuale chiesta del monastero venne costruita nel 1722 da Mihail Tamisvarlija, che ovviamente subì i consueti eventi distruttivi come qualsiasi altro edificio della zona, ma che venne anche riportata agli attuali fasti, quale esempio di arte bizantina e barocca e punto cruciale dell’arte serba.

Accediamo al sito del castello di Bač
Completamente immerso in un’area rurale

Già che ci siamo, facciamo anche una puntatina serale alla Fortezza di Bač (Tvrdjava Bač), per vedere ciò che rimane di una fortezza meravigliosa, ad oggi la migliore della Vojvodina, all’epoca abitata sia dagli Avari che dagli Slavi, fondata da Carlo I, re d’Ungheria, ma ben resto ampliata soprattutto in quanto Bač era il principale crocevia dell’epoca. Infatti le strade per l’Europa, i Balcani e il Mediterraneo si incrociavano qui e l’alta torre centrale consentiva la supervisione e il controllo delle pianure sottostanti, nonchè del traffico fluviale e di quello terrestre, tant’è che anche il fondale della Mostonga venne dragato per consentire il traffico fluviale sino alla fortezza stessa. Nel 1704 essa venne minata e durante la guerra di Indipendenza di Rakoczi venne distrutta, per poi essere successivamente abbandonata in quanto non più rilevante per scopi militari, tuttavia essa rimane la fortezza medievale meglio conservata della zona.

A Bač rimangono anche poche testimonianze di un hammam, non tanto per ciò che ne rimane, ma per la curiosità legato all’unica costruzione islamica della Vojvodina; esso fu costruito dopo la battaglia di Mohach, nel 1529, quando i turchi raggiunsero la zona e questo è quanto sono riuscita a sapere vista la scarsità di informazioni (e anche di offerta storica ed artistica data la chiusura tombale anche della chiesa cittadina).

Ci rivedremo ancora per uno, forse un paio di post e poi brinderemo alla fine di questo viaggio… ma ho altre proposte da portare avanti su queste pagine!

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Fortezza di Golubac: uno splendore bagnato dall’acqua.

Oggi raggiungiamo la Fortezza di Golubac già al mattino, dopo aver dormito nei paraggi in un piazzale poco distante dal parcheggio antistante la fortezza, la giornata è stupenda e ventosa, l’aria è un po’ frizzantina… e la fila già immensa! Arriviamo alla biglietteria un po’ confusi in quanto vi sono più percorsi possibili, scelta che andrebbe esposta prima dell’ingresso visto che senza una scarpa da trekking non permettono di arrivare ad alcune torri e in piena estate non è proprio scontato che il turista medio si attrezzi spontaneamente in tal senso.

Comunque sia acquistiamo i biglietti per la visita base (che, detto tra noi, è stata più che soddisfacente, ma Luca avrebbe voluto vedere tutto sino all’ultima pietra) e, varcata la biglietteria, ci troviamo in un giardino spettacolare fronte fiume, letteralmente bagnato dal Danubio: siamo al cospetto di una struttura quasi interamente realizzata nel corso del XIV secolo, composta da tre cinte murarie e dieci torrioni, soprattutto a sezione quadrangolare e solo in seguito rinforzati per meglio resistere agli attacchi delle armi da fuoco.

La fortezza ha subito un passato pregno di tumulti e vi è incertezza anche in merito alla sua costruzione, di certo vi è che nel corso dei restauri eseguiti tra il 2010 e il 2020 sono emersi i resti di un edificio bizantino antecedente la fortezza, inoltre alcune strutture in pietra e mattoni sono simili a quelle successivamente utilizzate negli hammam ottomani. La fortezza medievale fu contesa tra il Regno di Ungheria e l’Impero Ottomano, mentre dal 1867 è divenuto possedimento della Serbia in via definitiva.

La salita sulle torri consente di spaziare la vista sulle acque del Danubio, infatti ci troviamo sulla sua riva destra, che nel nostro caso è stata allietata da una giornata assolutamente tersa e meravigliosa, che ci ha regalato il cielo più blu che mai potessimo immaginare; è stata una delle visite più belle, a mio parere, insieme alla navigazione fluviale descritta un paio di post addietro perchè quando sono a contatto con l’acqua io sono al colmo della felicità e del benessere!

Gli interni

Si è trattata di una visita da godere a centottanta gradi, senza farsi grosse domande storiche nè artistiche, sicuramente grazie alla giornata meravigliosa, ma che mi sento in ogni caso di consigliare assolutamente… godetevi il lungofiume, la brezza che sale dall’acqua, il panorama e il senso di libertà salendo le torri e volgendo lo sguardo verso questa immensa distesa d’acqua!

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