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Le piramidi di Giza e la Sfinge

Direste mai che siamo attaccati ad uno dei centri più caotici io abbia mai visto?

Siamo arrivati all’ultimo giorno di questa esperienza sensoriale e culturale incredibile: la piana di Giza, località desertica in stridente contrasto con la caotica città che sorge al suo limitare, tant’è che trovarsi dinanzi alla maestosità dei sepolcri faraonici e vedere di lì a poco i palazzoni della metropoli crea quasi un disagio visivo.

Qui tocchiamo con mano gli insegnamenti scolastici ed avere dinanzi a sè tutta la storia delle piramidi di Cheope, Chefren e Micerino, monumenti funerari perfetti nella loro forma, incredibili se si pensa alla mancanza di tecnologia dell’epoca e al genio che è riuscito a contrastare tale carenza. Quella di Cheope è la maggiore, nonchè quella che abbiamo scelto per la visita al suo interno, quella di Chefrem è di medie dimensioni ed attualmente chiusa per restauro, mentre la più piccola è quella di Micerino, che ho visto solo dall’ingresso grazie alla guida che ha avuto la possibilità di farci affacciare nonostante i blocchi del controllo biglietti, per meglio comprendere la differenza strutturale rispetto alla piramide maggiore.

La salita è impegnativa, non tanto per il passaggio stretto e basso ma per la mancanza d’aria: il primo tratto consta di due passaggi a senso unico ma la parte finale, abbastanza lunga e strettissima, è a doppio senso e molto bassa, non un grande problema per me (sono alta 168) ma per chi supera il metro e ottanta può sicuramente costituire un grosso disagio; il peggio arriva alla fine quando, prostrati dalla fame d’aria e dall’umidità tropicale, si arriva ad un cunicolo da attraversare carponi… ecco, mi sono spaventata, ho avuto una sensazione claustrofobica convinta si trattasse di un tunnel di lunghezza indefinita, invece si tratta solo di due tronconi inframezzati da uno spazio che permette di erigersi in piedi e respirare, per poi arrivare alla camera funeraria, dove grazie alla ventilazione artificiale, il respiro si placa e si finisce di sudare copiosamente. Non sto a darvi spiegazioni architettoniche, per quello c’è Wikipedia, oltre al fatto che in merito alle piramidi si è detto già di tutto, ma solo trasmettervi l’emozione, immensa, di trovarsi al cospetto di tutto ciò, di quanto si è visto solo sui libri di scuola, di poter accarezzare una pietra che sta lì da migliaia di anni, che è stata toccata da operai vissuti all’epoca e che ha visto storia, tempeste di sabbia, sole cocente, civiltà diverse, guerre, ma che è ancora lì. Incredibile solo a pensarci. Il ritorno ovviamente è a ritroso, senza la fatica della salita e con il sorriso di aver visitato una delle più incredibili vestigia antiche al mondo!

L’ingresso non fa sospettare la salita seguente
E qui inizia la mazzata
La camera sepolcrale

Infatti la Grande Piramide, come è anche conosciuta, rappresenta la più antica tra le sette meraviglie del mondo antico, è costituita da almeno 2.300.000 blocchi di pietra per un peso unitario di pressapoco 2,5 tonnellate l’uno, edificata nell’arco di un tempo variabile tra i quindici e i trent’anni ad opera dell’architetto reale Heminiu.

La piramide di Chefren
Una sbirciatina all’interno di quella di Micerino ce la diamo
Tutta in discesa

Dopo la salita alla piramide ci siamo affacciati a quella di Micerino, come sopra detto, il che ci ha permesso di comprendere come questa abbia la camera funeraria posta in basso, a sei metri sotto il suolo, un po’ come le tombe viste nel corso delle tappe precedenti; essa venne eretta partendo da un progetto ben diverso da quanto è stato poi posto in essere, inizialmente progettata in granito rosso di Aswan, poi realizzata in pochissimo tempo con del calcare bianco di Tura a seguito della prematura morte del sovrano. Essa presenta un volume pari a circa un decimo rispetto a quella di Cheope, tuttavia la sua ricchezza è attribuibile alla massiccia presenza del granito, proveniente dalle cave dell’Alto Egitto, estremamente difficile da lavorare e parte del quale venne poi asportato dal pascià Muhammad Alì per la costruzione dell’arsenale di Alessandria.

L’emozione di toccare con mano tutta questa meraviglia

Come già scritto sopra, la piramide di Chefren era chiusa per lavori di restauro, ma anch’essa presenta la camera funeraria al di sotto del terreno, al pari di quella di Micerino, nonostante mi risulta sia rimasta parzialmente incompiuta.

Impressionante vero?

Lasciate le piramidi siamo arrivati alla Sfinge, enorme scultura in pietra calcarea e raffigurante una figura mitologica con la testa umana e il corpo di leone, denominata anche sfinge andricefala, la cui particolarità risiede nel fatto che, pur con la sua lunghezza pari a 73 metri, la sua altezza di 20 metri e la larghezza di 19 metri, risulta essere un complesso monolitico… non aggiungo altro. Incredibile. Si stima, comunque, essa sia stata scolpita da un affioramento roccioso emerso nel corso della costruzione delle piramidi, e che risalga proprio al periodo in cui venne eretta la piramide di Chefren, scolpita proprio a protezione di quest’ultima.

Il volto della felicità 🤩

Con questa ultima grande fatica il nostro sogno termina qui, tuttavia voglio riprendere ancora un discorso iniziato nel post precedente: la condizione femminile.

Si stima che in passato la condizione femminile in Egitto fosse migliore di quella attuale e che le donne fossero più emancipate di oggi, ma quella che ho voluto comprendere è connessa a quanto ho visto io: l’abbigliamento e la preghiera, intrinsecamente connesse. Le donne vestono con il tradizionale abito e il capo coperto in ossequio all’abbigliamento della Vergine Maria, mentre il nero è il colore della fecondità; ovviamente non vi è alcun obbligo, non c’è integralismo, però di donne a capo scoperte non ne ho viste. Ultimamente ne ho lette di ogni genere in merito alle donne isolate nel corso della preghiera, quindi ho chiesto e la risposta è stata la seguente: le donne pregano lontano dagli uomini all’unico scopo di non distrarli… non metto in dubbio la spiegazione, anche se il mio senso critico mi fa sospettare che la figura maschile sia abbastanza frustrata, forse sbaglio perchè vivo in una cultura libera, però comunque ho voluto comprendere visto che ritengo che in ogni paese si possa pretendere un determinato abbigliamento solo in condizioni di reciprocità e, nel mio caso, in Egitto nessuno mi ha imposto alcunchè nonostante la mia disponibilità ad adeguarmi alle regole del paese ospitante.

Due cose mi hanno colpita di questo paese: innanzitutto, lungo le dolci rive del Nilo, la presenza di molti bambini che, seduti su delle tavole da surf di fortuna, agganciavano le barche per guadagnare qualche centesimo intonando una canzone… una tenerezza infinita…

E poi, una cosa che dal primo all’ultimo giorno, mi ha provocato i brividi da tanto mi suonava sinistro e terrificante: il richiamo alla preghiera del muezzin, con quella nenia insistente che, per ben cinque volte al giorno, richiamava i fedeli con potenti altoparlanti, il cui suono proveniva da più parti in una cacofonia da pelle d’oca e che mi sembrava un grido da film dell’orrore (ovviamente, non comprendendo la lingua, per me era solo un suono).

Ora non mi resta che godermi un sonno ristoratore (dopo l’ennesima cena saltata a causa della cucina non proprio adatta la mio stomaco) prima di recarmi all’aeroporto alla volta di Milano… alla prossima!

Egitto/ Viaggi

Vivere Il Cairo, tra papiri e tè alla menta

Il tè di El Fishawy

Oggi vi accompagno lungo le strade del Cairo, attraverso il suo coloratissimo mercato, a visitare un paio di moschee e poi vediamo se ce la facciamo anche ad esplorare Giza, con le sue piramidi e la sfinge.

L’arte araba… una bellezza indescrivibile

Che la città sia terribilmente trafficata già ve lo avevo detto, tuttavia oggi ci apprestiamo a passeggiare lungo le strade, ricche di colori, di botteghe, di persone molto tranquille e, per noi europei, di molteplici curiosità; passeggiamo scattando foto ai palazzi, meravigliosamente intarsiati (l’arte araba è superba) e spesso anche ricchi di finestre con delle grate intricatissime, grazie alle quali è possibile osservare la strada sottostante senza essere notati dall’esterno, per poi incamminarci verso la prima moschea, meravigliosa, ariosa, pulitissima e ricca di luce. Una nota in merito: gli egiziani, pure se di cultura araba e di religione islamica, sono molto aperti verso culture differenti dalla propria e rispettosi delle altrui religioni, come già scritto nel post precedente, tant’è che una volta a contatto con la popolazione mi sono resa conto che tutte le raccomandazioni “culturali” esposte dal tour operator erano assolutamente inutili. Mi erano stati raccomandati i bermuda sotto il ginocchio che, a parte non averne in quanto orrendi 🙂 , non ho mai indossato visto che la guida stessa mi ha chiesto se avessi portato dei pantaloncini comodi e leggeri (e meno male che due paia ne avevo portati, a dispetto delle raccomandazioni!), come del resto, apprestatami a coprirmi il capo per l’ingresso in moschea, mi è stato detto che non avrei dovuto farlo in quanto la mia religione non lo prevede e che quindi non lo avrebbero assolutamente recepito quale offesa nei loro confronti, dato che il rispetto consiste in ben altro (e meno male… ho incontrato persone intelligenti).

Poi però, entro la fine di questo meraviglioso viaggio alla scoperta di un mondo diverso, vi spiegherò anche il perchè dell’abbigliamento femminile, dei colori utilizzati e di alcuni usi che nella nostra cultura sembrano poco civili; ho voluto capire, ho chiesto, perchè non voglio giudicare senza comprendere.

La prima moschea visitata
Il pozzo
Lampadari incantevoli
Finestre che impediscono la visuale dall’esterno
Aria e luce

Di moschee ne abbiamo visitate due, e vi lascio qualche foto, ma la prima (nei pressi di Bab al-Futuh) mi ha lasciata a bocca aperta: sarà anche la mia passione per gli spazi chiari e luminosi, privi di oggetti che possano appesantire l’ambiente, ma l’impatto visivo è meraviglioso, la pulizia estrema (ed ecco il motivo per il quale si entra senza calzature, visto che poi in quegli spazi i fedeli si chinano per la preghiera), la luce si riflette su ogni superficie e il senso di pace è incredibile… del resto mi è stato spiegato che proprio l’assenza di distrazioni visive permette di concentrarsi al meglio durante la preghiera e ciò sicuramente costituisce una palese antitesi rispetto all’architettura delle chiese cristiane, specie quelle cattoliche. Di storia ne son ben poca, solo che Bab al-Futuh (il Cancello della Conquista) è una delle porte fortificate del Cairo medievale, che venne terminata nel 1087, si trova alla fine di al_Mu’izz Street, fa parte del Cairo vecchio e infatti l’abbiamo incontrata nel precedente post, questo per ricollegarmi alla moschea che abbiamo incontrato di lì a poco.

La seconda moschea, più raccolta, è quella di Aqmar, anch’essa assolutamente stupenda, nonostante le dimensioni minori e pulitissima; non ho rinvenuto molte informazioni in merito, ma la facciata è una meraviglia architettonica.

Ancora finestre con grate invalicabili dallo sguardo esterno
Botteghe di shisha ovunque

Poi abbiamo proseguito lungo le strade ricche di botteghe di narghilè e per la prima volta nella mia vita ho assaggiato il succo di canna da zucchero, fresco e dolcissimo, con una nota erbacea gradevolissima, una delle bevande nazionali oltre all’hibiscus (il classico karkadè), da bere freddo, il tè alla menta, che viene servito bollente ma che disseta al di là di ogni previsione, e il caffè turco, che spesso viene servito nei bar e che ho sempre apprezzato in quanto nella mia zona, confine con l’est, è molto conosciuto.

Ed ecco la bevanda più fresca e dolce mai assaggiata

La parte più caratteristica della visita al mercato, ricco di tè e spezie, è stato lo storico caffè El-Fishawy, situato nel cuore del Cairo islamico, che serve un tè favoloso sin da quando Napoleone invase l’Egitto (venne aperto nel 1797, l’anno prima dell’invasione napoleonica), preparato sempre con la menta fresca; il locale iniziò la propria attività servendo caffè turco agli amici del primo proprietario, conosciuto proprio come “el-Fishawy”, che dopo il tramonto si presentavano al bar, poi esso venne ampliato a seguito dell’acquisto degli edifici adiacenti e contestualmente ampliò la propria offerta di bevande. All’inizio del XX secolo esso acquisì fama essendo frequentato da intellettuali e scrittori, soprattutto durante il periodo di Ramadan, tra cui il nobel Naguib Mahfouz e il re Farouk. All’epoca il locale era il quadruplo di quello che è oggi, in quanto dal 1986 le autorità del Cairo hanno ampliato il quartiere intorno a piazza Saddam Hussein, assorbendo quindi una parte del locale, nonostante le ovvie opposizioni da parte del titolare. Gli interni sono incredibilmente belli, arricchiti da mobili realizzati a mano in arabesque con pannelli mashrabiya scuri, da pareti giallo ocra e antichi lampadari in rame; gli specchi sono posti ovunque, ampliando otticamente lo spazio circostante, il profumo di incenso, di legno e di shisha (altro nome che indica il narghilè) alla frutta penetrano ovunque, mischiato all’odore del shai barad, il tè bollito e riscaldato in un bacino di sabbia, metodologia che conferisce alla bevanda il suo sapore particolare e di altissima qualità. Nel mentre sorseggiavo il tè ho colto l’occasione per farmi decorare una mano con l’hennè (salvo poi soffrire di un’allergia per qualche giorno, ma ne è valsa la pena), letteralmente un’opera d’arte realizzata con una semplice sac-a-poche contenente hennè… dalla foto potete chiaramente vedere la maestrìa della ragazza che mi ha realizzato il tatuaggio.

Nel cuore del mercato
Ci fermiamo al El Fishawy per un tè e un tatuaggio con l’hennè
Gli specchi infiniti degli interni
Ancora le delizie più assurde come questo zucchero filato
Tra i cunicoli del mercato

Mi sa che nemmeno in questo post riusciamo a farci un giro a Giza, quindi, come sospettavo, dovrò tediarvi con un’ultima tappa descrittiva, anche perchè vorrei lasciarvi qualche scatto raffigurativo delle fasi di preparazione di una carta da papiro, quindi vi lascio alle immagini e ci vediamo a Giza!

I pezzetti di papiro vengono ammollati per ammorbidirli
Inizia la riduzione della fibra a foglio
Si asciugano
Si pressano
Ed ecco il foglio
Egitto/ Senza categoria/ Viaggi

Il Cairo: Museo Egizio, Quartiere Copto e Fortezza di Babilonia

Il Museo Egizio

Dopo la lettura di qualche libro vi riporto alla penultima tappa in questo paese meraviglioso, tappa che ho vissuto di più grazie ad una guida caratterialmente diversa da quella che ci ha accompagnati lungo il Nilo, quella più tecnica, assolutamente perfetta, questa più spiccia ma che ci ha permesso di vivere la città, di respirarne gli odori, di assaggiare un po’ di vita di strada.

La situazione del traffico (visione ancora ottimistica)

Il Cairo è una città caotica al limite della follia, impossibile attraversare la strada, non esiste alcuna regola nella guida dei veicoli, tra macchine che cambiano corsia in continuazione senza freccia alcuna ma costantemente sul freno e sul clacson, tra i “tuktuk” guidati incoscientemente da ragazzini, tra taxi collettivi che (almeno quelli) sono autorizzati a circolare solo su alcune arterie urbane, nel caos della polvere, della povertà degli edifici diroccati e i bambini nudi che dormono sui marciapiedi, tra cani randagi e desolazione ovunque. Il Cairo va vissuto.

Il museo offre moltissimo e per capire bisogna entrarci ed assaporarlo, ma la vitalità di questo sguardo ha dell’incredibile
La sensazione è quella di essere scrutati da occhi di qualche migliaio di anni
Il dio Anubi, cane sacro faraonico

La prima visita che ci aspetta è sacrosanta: il Museo Egizio, il massimo museo di antichità egiziane nonostante attualmente sia in atto una parziale traslazione verso il Museo di Giza, allo scopo di riunire un po’ alla volta tutta la ricchezza archeologica in un unico sito, ma che ad oggi conta ancora più di 120.000 reperti visibili oltre a quelli ancora conservati nei magazzini. Esso risale al 1858, quando il primo nucleo venne aperto grazie alle collezioni dell’archeologo Auguste Mariette, allo scopo di fermare la selvaggia esportazione dei manufatti. Lo spazio ben presto si rivelò insufficiente e l’inondazione del Nilo avvenuta nel 1878 peggiorò la situazione, tant’è che nel 1891 il museo venne spostato all’interno del palazzo di Isma’il Pascià a Giza, chiamato “Palazzo di Giza”, edificio comunque non idoneo allo scopo, finchè fu bandito un concorso per la realizzazione dell’attuale museo, che sorse ad opera dell’architetto francese Marcel Dourgnon e degli italiani Giuseppe Garozzo e Francesco Zaffrani.

Vasi canopi

Il museo venne inaugurato nel 1902 dando vita ad un magnifico edificio neoclassico, dalle mura rosa salmone, che si erge tra le palme di piazza Tahrir, nel cuore della città, e decorato dagli altorilievi del francese Ferdinand Faivre; esso all’interno presenta due piani ordinati per cronologia e aree tematiche: vi lascio qualche scatto, nulla di più perchè va visitato e non lasciato a mere fotografie dall’aspetto sterile ed insignificante. Se, come me, avete amato il Museo Egizio di Torino, visitatelo e non ve ne pentirete.

Un delizioso (e costosissimo) negozio di spezie che abbiamo visitato lungo la strada
La Fortezza di Babilonia

Al Cairo ci sarebbe molto da visitare, ma purtroppo il tempo che abbiamo non è sufficiente per spaziare su tutto ciò che vorremmo, quindi facciamo una volata al Quartiere Copto, piccolo e stupendo! Esso sorge nella Cairo antica e offre al visitatore, accedendo da una scalinata a scendere, la visita della Chiesa Sospesa e di quella di San Giorgio, che incontriamo passeggiando lungo l’antica via delle botteghe di librai antiquari, pur se attualmente numericamente ridotti. A dire il vero il quartiere è incantevole, un gioiellino pulitissimo che offre innumerevoli mete degne di visita, ma purtroppo il tempo tiratissimo a disposizione ci impone una necessaria limitazione a quanto ho sopra citato.

La porta di ingresso al Cairo vecchio
Bella eh?
Un po’ di storia…
La via degli antichi librai

La Chiesa Sospesa (Al-Kanisa al-Mu’allaqa) rappresenta la chiesa principale della Cairo Copta, è una delle più antiche, situata nella zona meridionale della Cairo Vecchia e il suo nome deriva proprio dalla posizione strategica in cima alla porta meridionale della Fortezza di Babilonia, ma la particolarità che colpisce il visitatore è proprio la sua architettura che mixa perfettamente lo stile copto e quello islamico, tra cupole, campanili e sculture lignee. Si ritiene, inoltre, che essa sorga sul sito di un antico tempio romano, accrescendone quindi l’importanza spirituale; l’interno è bello da togliere il fiato, con il pulpito marmoreo e le pareti divisorie intarsiate nell’avorio (giuro: sono stata lì dieci minuti buoni a bocca spalancata), le vetrate incredibili… tutto è spettacolare! Inoltre l’edificio ospita diversi manufatti, tra cui i resti di un martire cristiano del IV secolo ed una collezione di manoscritti copti.

La Chiesa Sospesa con il giardino antistante
Ma quanto bello è l’ingresso?
Il colonnato del pulpito in cui ogni colonna differisce dall’altra
Gli intarsi in avorio
Reliquie cristiane

Ho citato la posizione della chiesa in relazione alla Fortezza Romana di Babilonia, ma vediamo qualche cenno storico: ovviamente essa rappresenta una testimonianza della potenza dell’Impero Romano, venne costruita nel IV secolo ad opera dell’imperatore Diocleziano a scopo difensivo, posizionata strategicamente all’incrocio delle principali rotte commerciali, con mura alte sino a 12 metri ed estremamente imponente con le due torri, una per ogni angolo, ed una porta centrale, il tutto a proteggere caserme, magazzini ed edifici. Si noti che tuttora la città ospita gruppi religiosi di varia fede e in perfetta convivenza.

Chiesa di San Giorgio
La simbologia cristiana che quasi stride in un paese musulmano
Il muro è intervallato da strati di legno per mantenere la stabilità dello stesso

La Chiesa di San Giorgio è un altro esempio di rara bellezza, unico esempio di chiesa rotonda in città, costruita in cima alla Torre Romana e collegata al Monastero di San Giorgio, e costituisce un noto punto di riferimento cristiano in quanto la Sacra Famiglia passò e risiedette in essa nel corso della fuga in Egitto, grazie alla presenza di un pozzo d’acqua, ancora oggi potabile, sotto la chiesa e che ne permise la sopravvivenza. Essa subì gravi danni a causa di un incendio, tuttavia il restauro del 1904 l’ha riportata al suo splendore e vi garantisco essere magnifica.

Il pozzo della chiesa
Si narra qui trovarono rifugio Maria, Giuseppe e il Bambin Gesù
Si scende lungo una scala ripida e stretta
Dove dormì il piccolo Gesù
Ancora avorio finemente cesellato

Nell’ultima tappa (sempre che un post sia sufficiente) vi porterò a spasso per le vie del Cairo e ammireremo la piana di Giza, con l’intenzione di condividere anche alcune impressioni in merito a questo incredibile paese… a tra pochi giorni, che poi vi devo raccontare di un altro viaggio la cui narrazione ancora aspetta i miei tempi (lunghissimi)!

Egitto/ Viaggi

Luxor Temple, Karnak Temple e Luxor Museum

Purtroppo non in tutte le foto sono riuscita ad evitare la folla
La tipica barba rappresentante il rango faraonico

Ritorno dopo alcuni giorni a scrivere delle mie scoperte intorno al mondo, con la consapevolezza di non essere riuscita a velocizzare la stesura dei post, ma va bene così… rivivere tutte queste emozioni nel tempo fa bene anche a me.

Il fascino di una visita al tramonto

Oggi vi accompagno in una delle visite che più mi hanno incantata, innanzitutto perchè ha fatto parte della crociera sul Nilo (che mi ha fatta sognare in ogni istante, sarà la mia passione per l’acqua e le imbarcazioni, ma vi assicuro che se avete la possibilità di provarla è una di quelle esperienze che rimangono inchiodate al cuore) ma soprattutto perchè il Tempio di Luxor l’abbiamo visitato al tramonto, con un clima più accettabile ed un’atmosfera suggestiva incredibile.

L’immagine è incredibilmente bella ma ho sofferto per il cavallo 🥲
La consueta barca, simbolo oramai ricorrente
Il viale delle sfingi
Il viale al tramonto

Luxor, all’epoca Tebe, è una delle città più antiche al mondo, trafficatissima, tant’è che dalla nave al tempio siamo stati accompagnati in calesse, nonostante la modesta distanza da percorrere: esperienza particolare ma per me che amo gli animali ha rappresentato un colpo al cuore, comunque vediamo qualche nota storica relativa al tempio. Esso sorge sulla riva orientale del Nilo e si tratta di un immenso complesso templare dedicato ad Amon, tant’è che durante il Nuovo Regno esso fu il fulcro della festa annuale di Opet, durante la quale una statua di Amon veniva trasferita lungo il Nilo dal vicino Grande Tempio di Amon, conosciuto con il nome di Ipet-sut grazie al rito di fertilità.

La sua costruzione iniziò nel corso del regno di Amenothep III durante il XIV secolo a.C., mentre molte colonne e statue sorsero grazie ad Haremhab e Tutankhamun, tuttavia la massima espansione venne conosciuta grazie a Ramses II pressapoco un secolo dopo l’inizio dei lavori; una particolarità risiede nel fatto che il Tempio di Luxor è l’unico tra i complessi templari egiziani ad avere il marchio di soli due sovrani sulle strutture architettoniche. Successivamente alcuni interventi di restauro vennero posti in essere da Alessandro Magno e dall’imperatore Tiberio, per poi registrare l’abbandono del complesso, durante la dominazione araba, fino a quando, nel XIII secolo, vi venne eretta la Moschea di Abu El Haggag, sovrastante il cortile delle colonne e contestuale insediamento, nel complesso, di un villaggio arabo.

Non sto ovviamente a raccontarvi tutto quanto sia possibile visitare al suo interno, tuttavia sono degni di nota l’accesso costituito dal viale delle sfingi, oggi visibili quelle volute da Nectanebo I, che noi abbiamo ammirato al tramonto sapientemente illuminate in maniera magistrale e che ci hanno condotto al grande portale, alto 24 metri, costruito sotto Ramses II. L’ingresso principale originariamente era fiancheggiato da sei statue colossali di Ramses, quattro sedute (delle quali ne sono rimaste due) e due in piedi; inoltre dei due obelischi in granito antistanti il portale se ne vede uno solo, mentre l’altro venne donato alla Francia nel 1830 e tuttora si erige a Parigi in Place de la Concorde. Fu il pascià Mehmet Ali a volerli donare ambedue, tuttavia uno soltanto venne rimosso dal tempio (per fortuna, mi sento di dire!).

Per il resto vi enumero solamente le parti di notevole interesse, che non sto a descrivervi più di tanto in quanto non avrebbe senso inserire tutte le informazioni: il Grande Cortile di Ramses II, il colonnato e il cortile di Amenhotep III, la Cappella del culto tetrarchico, il Naos di Alessandro Magno e il Santuario di Amon.

Il complesso templare di Karnak, che comprende il Grande Tempio di Amon e il Tempio di Luxor, sorge sulla riva destra del Nilo e la sua costruzione procede negli anni di pari passo con la storia egiziana, infatti ad oggi notiamo un sovrapporsi di strutture, sorte in epoche diverse, tanto da non poter individuarne il nucleo originale risalente al Re Sesostri I della XII Dinastia, del quale si conservano solo le soglie dei locali, ubicate nell’area posteriore del santuario della Barca Sacra.

Quanto rimane di un cumulo di sabbia, tecnica usata per raggiungere i livelli più elevati durante la costruzione e motivo per cui i decori partivano sempre dal punto più alto, visto che appena terminata la costruzione si procedeva direttamente al decoro e contestualmente scendendo nuovamente.
Ecco la luce che mi è rimasta nel cuore

Secondo la convenzione egiziana, la perfezione divina era rappresentata da una triade e infatti anche nel complesso di Karnak notiamo la triade costituita da Amon, dalla sua sposa Mut e dal figlio Khonsu. Anche qui per inoltrarci in una descrizione accurata è necessario trovarsi sul posto ed esaminarne una parte alla volta, stante la complessità della materia e, in questo caso, il susseguirsi nel tempo delle opere che vi sono sorte al suo interno. Un particolare è la presenza, presso il lago sacro ad Amon, di Khepri, la statua dello scarabeo sacro in rappresentazione del Sole che sorge.

I colori, bellissimi, ancora intatti…
Il lago sacro
Lo scarabeo, attorniato da un’orda di turisti che vi girano intorno molteplici volte, come da tradizione

Il museo invece è stata una visita improvvisata in quanto incredibilmente ci erano avanzate un paio d’ore libere: specifico ciò in quanto noi non abbiamo mai amato le visite museali, ma alla fine ci siamo fidati della guida e abbiamo godute di un’ottima visita, soprattutto al fresco!

La riva del Nilo, direttamente adiacente il museo

Si tratta di un edificio commissionato nel 1962 dal Ministero della Cultura Egiziana all’architetto Mahmud El Hakim, al fine di riunire i reperti provenienti dall’antica Tebe, inaugurando così, nel 1975, un discreto complesso di cultura storica, artistica ed archeologica di tutto rispetto, soprattutto grazie all’ampliamento risalente al 2004. Il numero dei reperti è certamente inferiore a quelli ospitati dal Museo del Il Cairo, tuttavia si possono ammirare alcuni oggetti rinvenuti nella tomba di Tutankhamon nonchè le mummie reali dei faraoni Ahmose I e Ramesse I, precedentemente ospitate dal Museo de Il Cairo e da quello delle cascate del Niagara; notevole anche la ricostruzione di una delle pareti del Grande Tempio di Aton (Karnak).

La ricostruzione del muro
Vasi canopi

Con questa giornata incredibile si chiude la nostra esperienza a Luxor e anche la nostra navigazione, visto che da lì a poco saremo condotti all’aeroporto di Luxor per volare a Il Cairo, quindi ci vediamo da quelle parti!

E via verso l’aeroporto!

Mi sento però di aggiungere una nota: con questa conclusione si chiude la parentesi più poetica del paese che ci sta ospitando… Il Cairo, lo vedrete, è interessantissimo, ma la dolcezza delle rive del Nilo e dei paesini che vi sorgono sono ammalianti e, se dovessi tornarvi un giorno, sicuramente vorrei poter rivivere tutto questo, nonostante il caldo e il sole impietoso che però, all’alba e al tramonto, regalano una forza ed una poesia che altrove non ho mai trovato.

Egitto/ Viaggi

Valle dei Re, Valle delle Regine, Quartieri Operai, Colossi di Memnon e Hatshepsut Temple

L’accesso alla Valle dei Re

Da giorni ho interrotto la narrazione delle successive tappe storiche che hanno allietato la mia presenza in Egitto, presa da numerosi impegni e da un altro viaggio del quale vi parlerò in seguito, pertanto oggi provo a condensare in un unico post quella che è stata forse la giornata più faticosa tra tutte. So di aver premesso che avrei trattato le visite per oggetto e non per giornata, ma di questo passo non arrivo più alla fine, tante sono state le ricchezze che questo magnifico paese ha offerto alla nostra vista.

La consueta barca
Il simbolismo del serpente e la sua dualità: a protezione dell’edificio se rivolto all’esterno e in attacco se dalla parte opposta.

Iniziamo con la Valle dei Re, famosissimo sito archeologico sito nei pressi dell’antica Tebe, l’attuale Luxor, che per circa cinquecento anni venne scelta quale sede delle sepolture dei sovrani del Nuovo Regno d’Egitto e conosciuta, all’epoca, con il nome di Ta-sekhet-ma’at, ossia “Il Grande Campo”. In essa sono state rinvenute le tombe dei sovrani appartenenti all’epoca sopra descritta, mentre le regine trovavano posto nella Valle delle Regine, cioè Ta-Set-Neferu (Luogo della Bellezza ), poco distante dal primo sito.

Il sito si stende su un’area pietrosa e sabbiosa, una spianata sulla quale il sole batte ferocemente e non vi è alcuna speranza di rinvenire uno sprazzo ombreggiato, il calore è immenso e nelle tombe manca l’aria, tuttavia ne abbiamo visitate alcune, tra cui quella di Tutankhamon, non la più importante nè la più bella, ma sicuramente coperta da un’aurea di fama non da poco.

Alcune tra le molteplici tombe visitabili
Aperture verso l’interno (utilizzate per calarvi i sarcofagi)

L’accesso al sito presentava una sola apertura, consentendo quindi una maggiore sicurezza nel presidio, mentre la vicinanza al Nilo garantiva più facilità per lo svolgimento delle processioni funerarie e per il trasporto delle relative suppellettili. La struttura geologica presenta tre strati, uno formato da calcare bianco tebano, uno in scisto di Esna e l’ultimo in gesso di Dakhla: tale struttura stratificata è chiaramente visibile nella tomba di Seti I. Ad oggi vi si contano sessantacinque sepolture, delle quali purtroppo molte depredate, ma nonostante ciò è possibile rilevare differenze tra i vari sepolcri, in diretta correlazione con la dinastia di appartenenza; tuttavia lo schema architettonico è comune a tutte le sepolture, secondo uno schema logico che prevede quattro passaggi, preliminarmente si accede all’entrata, segue un santuario in cui riposano gli dei e poi si apre una sala dell’attesa cui segue una sala colonnata, detta “sala del carro” e da ultimo la camera funeraria o sala dell’oro, la quale ospita il sarcofago.

L’accesso alla Valle delle Regine
Resto di una volta stellata, purtroppo priva del colore della notte

Poco distante sorge la Valle delle Regine, sito di sepoltura delle madri, delle consorti e dei figli dei faraoni, situato sulla riva occidentale del Nilo, di fronte all’antica Tebe: la valle ebbe origine da un corso d’acqua che originava da una grotta con una cascata, già esaurito in epoca faraonica, ma che in caso di piogge torrenziali si ripresentava, tant’è che nella parte superiore della valle era stata costruita una diga a protezione dei sepolcri. Le camere di sepoltura vennero scavate nella roccia per conferire loro maggior protezione e ponendosi sotto la tutela della dea cobra Mertseger e della dea vacca Hator. La necropoli contiene più di settanta tombe, molte riccamente decorate come quella di Nefertari, grande sposa reale, in cui ancora oggi si possono ammirare i rilievi policromi perfettamente conservati.

Lasciata la valle facciamo una breve fermata per ammirare i Colossi di Memnon, due enormi statue di pietra del faraone Amenhotep III, eretti oltre 3400 anni fa nella necropoli di Tebe e già famose nell’antichità, quando, a causa del degrado subito, da una di esse si propagavano rumori che all’epoca vennero interpretati quali il saluto di Menmon alla propria madre. Le due statue, alte 18 m., rappresentano il sovrano in posizione seduta, mentre nella parte inferiore sono scolpite la figura della moglie Tiy e della madre Mutemuia, invece i pannelli laterali rappresentano Hapy, dio del Nilo. Esse sono state realizzate da blocchi di quarzite, probabilmente scavata a Giza o a Gebel el-Silsileh, e la loro funzione era quella di guardia al tempio del sovrano.

A questo punto della giornata ero già discretamente a pezzi, cotta dal sole e distrutta dal calore di una giornata cocente, ma poteva mancarmi la chicca? Quella che mi ha uccisa definitivamente? Il tempio di Hatshepsut, meravigliosa costruzione funeraria a gradoni poco distante dalla Valle dei Re, dedicato al dio del sole Amon-Ra, e costituito tra tre livelli di terrazze per un totale di 35 m. in cui ogni livello presente una doppia fila di colonne quadrate e, nei pressi della cappella, alcune colonne protodoriche. I tre livelli sono collegati da una scalinata imponente ed armoniosa, all’epoca situata in un contesto di giardini ricchi di piante esotiche, tra le quali il franchincenso e la mirra, mentre oggi la visita si svolge interamente su una spianata rocciosa bollente e cotta dal sole. Senza massacrarvi di ulteriori spiegazioni noiose, specifico solo che la struttura architettonica seguiva la consueta forma tebana ricca di piloni, corti, ipostili, corti solari, cappelle e santuari.

Tutto il villaggio appare con questa conformazione
Discesa ad una tomba

Lasciato il tempio ho subito la mazzata finale: il villaggio operaio di Deir el-Medina, ennesima spianata cocente che ci riporta ad un insediamento abitativo ospitante operai, artigiani ed artisti, ossia coloro i quali lavoravano alla realizzazione e alla manutenzione delle tombe della valle, noti come i “servi del luogo della verità “. Una nota curiosa: spesso si parla di sepolcri realizzati dagli schiavi, repressi e malnutriti, mentre in realtà essi erano degli operai regolarmente salariati e con i dovuti giorni di riposo (dieci giorni di lavoro e due di riposo), motivo per il quale lavoravano con tanta maestria. Il villaggio è distante dalle rive del Nilo ed è circondato da una sorta di mura fortilizie, forse realizzate più per contenere la libertà degli abitanti che a scopo difensivo: qui ho avuto modo di scendere in due tombe, strettissime, ripide e prive d’aria, ma molto ben conservate e ricche di incisioni.

Accesso al tempio

Vi lascio alle immagini, molto più esplicative di qualsiasi descrizione, nonostante abbia dovuto estrapolare pochi scatti tra le innumerevoli foto interessantissime… ma tutto sarebbe stato da fotografare! Non vi tedio nemmeno con le didascalie… godetevele e spero di riuscire almeno ad incuriosirvi, è un paese da visitare assolutamente e che, ultimamente, ha davvero bisogno di riprendersi anche grazie al turismo!

La parte migliore: il rientro alla nave 🤣

Arte, storia ed architettura/ Egitto

Edfu Temple

Nel corso della mini crociera lungo le acque del Nilo siamo sbarcati ad Edfu, sita nel Governatorato di Aswan, dove sorge uno dei più bei templi dell’antico Egitto nonché il meglio conservato. Esso risale all’Antico Regno e venne restaurato, nel corso del Nuovo Regno nella XVIII dinastia, da Thutmosi III e successivamente inglobato nella nuova ricostruzione nel corso della dinastia tolemaica, le cui vestigia sono ancora visibili. Nel corso del 1860 venne liberato, ad opera dell’archeologo Auguste Mariette, dalle sabbie che lo seppellivano quasi totalmente, rivelando in tal modo l’ottima conservazione dell’edificio, compreso il naos e le tre colossali statue in granito nero rappresentanti altrettanti falchi dotati della doppia corona dell’Alto e Basso Egitto.
Il tempio rappresenta l’archetipo del tempio con struttura “a cannocchiale”, con una teoria di sale sempre più piccole e più buie, fino al sacrario del naos, completamente avvolto dall’oscurità, perfetta antitesi del modello del tempio solare.
Esternamente il pilone presenta, nei decori, delle rappresentazioni di Tolomeo XII nell’atto di sacrificare dei prigionieri al dio, altri sovrani tolemaici e la locale triade composta da Horo di Behedet, Hathor ed il figlio Ihi, oltre ad antichi dogmi religiosi tra i quali i quattordici ka del dio Ra ed altre divinità, tra le quali Ra-Harakhti, Hathor e Horo Sema-tawi, ossia “Horo che unisce le due Terre”.

Il mammisi del tempio, ossia il “luogo del parto”, sezione del tempio dedicato alla maternità
Il passaggio da una stanza all’altra, dalla luce esterna verso il cuore dell’edificio
I capitelli sono qualcosa di spettacolare in tutto il paese
Incisioni e capitelli ovunque

Tra i numerosi dettagli vi è la ricorrente immagine della barca solare, la “Festa annuale di Opet”, la posa della prima pietra del tempio e numerose altre che non sto ad elencarvi per non annoiarvi, del resto ciò che vi suggerisco, se ne avrete la possibilità, è di fermarvi a visitarlo perché ne vale davvero la pena. Tuttavia merita un cenno il sacrario, contenente il tabernacolo monolitico in granito, con la statua del dio falco Horo, eretto dal sovrano Nectanebo I della XXX dinastia, essendo il reperto più antico unitamente al supporto della barca sacra.
Il tempio fu terminato il 5 dicembre del 57 a.C. dopo ben due secoli di lavori e risulta essere il secondo, per dimensione, dopo quello di Karnak, grazie ai quasi settemila metri quadrati che lo contraddistinguono, compreso anche il mammisi realizzato da Tolomeo VIII, pur se solo successivamente decorato ad opera di Tolomeo IX Soter II. Vi si svolgevano cerimonie religiose quali la Festa del Nuovo Anno, il matrimonio annuale di Horus con Hathor di Dendera e la vittoria del dio su Seth oltre alla suggestiva incoronazione annuale di un falco vivo, appositamente allevato nel tempio dai sacerdoti, del quale ancora oggi sopravvive la statua zoomorfa che sfida lo scorrere dei secoli.

La barca (questa è una riproduzione) nel naos
La barca, onnipresente nelle incisioni
Il dio falco con la doppia corona del’Alto e Basso Egitto

Oggi ho dedicato il post ad un’unica visita perché il prossimo che vi proporrò sarà già molto complesso di suo e temo dovrò frazionarlo, quindi ne approfitto per lasciarvi qualche scatto di quella che è la vita locale, quella lontana dalle mete turistiche patinate in quanto, nonostante gli sfarzi di un’antica civiltà, ad oggi questo paese meraviglioso è abbastanza malmesso, la miseria si tocca con mano e vedere dei bimbi seminudi che giocano nella polvere sotto un ponte ti spezza il cuore… posso solo dirvi che l’umanità della gente ti accarezza il cuore e che ci tornerei mille volte, nella polvere, sotto un sole impietoso, ma davanti al paese vero, quello che in tutte le sue sfaccettature ti ruba l’anima.

I tuk-tuk, presenti ovunque e spesso guidati da ragazzini
Scorci di vita in un paese dove l’infanzia non esiste

Vi lascio con questi pochi scorci, cui ne seguiranno degli altri, di spaccati di vita perché, al di là delle vestigia storiche che mi sono state presentate, il fascino di un paese nasce sempre da come lo vivi.

Egitto

Abu Simbel, Kom Ombo Temple e Crocodile Museum

Abou Simbel, la maestosità dell’opera umana

Dopo la lettura del libro che vi ho suggerito nel post precedente torno a parlarvi dell’Egitto: abbiate pazienza per la tempistica, questa volta abbastanza discutibile, ma la quantità vastissima di cultura che mi è stata illustrata necessita di un ampio periodo di metabolizzazione.

L’alba nel deserto

Nel cercare di accelerare la descrizione di tutta la bellezza che ci ha fatto venire gli occhi a cuoricino, oggi iniziamo con una pietra miliare: Abu Simbel.

Un caffè nel deserto a suggellare l’incanto di un istante magico
Il luogo del nostro pit-stop

La sveglia è alle 3.30 del mattino, facciamo una colazione veloce e alle 4.30 partiamo per Abu Simbel, località ancora più a sud e sita in prossimità del confine con il Sudan, tant’è che i controlli militari sono stati molto pressanti: imbocchiamo la vecchia diga di Aswan e iniziamo ben presto a percorrere l’autostrada, che sorge nel mezzo del deserto, è ancora buio ma assistiamo ad una delle albe più belle della nostra vita, tant’è che ci fermiamo per un caffè nel deserto, per riprenderci un po’ prima della tirata finale.

La maestosità dell’ingresso
Dalle pareti riccamente decorate

Il sito di Abu Simbel vede sorgere il Tempio di Ramses e quello della bellissima moglie Nefertari, sulle rive del lago Nasser: si tratta di uno dei monumenti più interessanti della storia e della cultura egizia, specie se facciamo riferimento all’epoca faraonica, risalente a circa tremila anni fa e che sorge sulla riva occidentale del Nasser. Venne eretto da Ramses II, il più grande dei faraoni, direttamente scolpito nella roccia e ancor oggi marca il confine meridionale dell’antico impero egizio con la Nubia, ovvero il punto di massima espansione risalente al Nuovo Regno. L’effetto è impressionante, letteralmente da togliere il fiato, grazie alla presenza delle ben note statue faraoniche di dimensioni imponenti e che vengono riproposte anche nell’edificio adiacente, in parte dedicate al faraone e in parte alla consorte; per il mezzo di tali raffigurazioni si intendeva trasmettere i poteri dei sovrani d’Egitto e devo ammettere che tutt’oggi incutono un effetto non di poco conto.

Il primo corridoio interno
Le stanze
Il rango del cavallo reale che sovrasta anche il leone
Nicchie dove trovavano posto i libri

Il tempio del faraone presenta trenta metri di altezza e trentatre di lunghezza, mentre quello della consorte risulta essere ovviamente di dimensioni inferiori in quanto il faraone non poteva essere offuscato in alcun modo. Il sito venne scoperto nel 1813 dallo svizzero Johann Ludwig Burckhardt, sommerso dalle sabbie desertiche e riemerso a seguito dei lavori di scavo; ad oggi esso fa parte del patrimonio UNESCO dal 1979.

Una curiosità è data dal cosiddetto “miracolo del sole”: trattasi di un fenomeno che accade due volte l’anno, il 22 febbraio e il 22 ottobre, quando i raggi del sole, all’alba, entrano nel tempio illuminando la camera del faraone, grazie alla costruzione effettuata nel rispetto della nota corrispondenza tra l’allineamento degli edifici e la disposizione di costellazioni e pianeti, a testimonianza del legame tra i fenomeni celesti e terrestri nonché della forte influenza del Sole. Particolare degno di nota è che la luce del sole illumina il faraone, lasciando però sempre in ombra il dio delle tenebre. Questo fenomeno esiste ancora oggi, limitatamente alle sole due date citate, in quanto l’edificio è stato spostato, blocco per blocco, a seguito della costruzione della nuova diga di Aswan.

Il tempio prende il nome da quello di un bambino, in quanto si narra che gli scienziati rinvenirono il luogo in cui scavare grazie al suo suggerimento, dopo che il tutto fu distrutto da un terremoto e dalle inondazioni.

Sono evidenti i monumenti dedicati a Ramses e alla sua sposa, tuttavia entrambi i templi sono dedicati a tutte le divinità venerate dalla loro civiltà, tra le quali Ramh e Hathor.

Il ritorno ad Aswan è stato lunghissimo, sotto un sole cocente per poi ritrovarsi nel mezzo di una tempesta di sabbia, molto disturbante perché la visibilità era ridotta a pochi metri, ma il colore dell’aria era incredibile per chi non ha mai assistito ad un evento del genere!

La tempesta di sabbia

La visita seguente ha riguardato il Tempio di Kom Ombo, caratterizzato dalla presenza di due edifici sacri affiancati, uno dedicato al dio Sobek, con la testa di coccodrillo, e l’altro al dio Horus, il dio del Sole, dualismo che ritroviamo anche nella coesistenza del culto dedicato a due diverse triadi di divinità. La prima, più antica, era costituita da Sobek, Hathor e Khonsu, mentre la seconda, di epoca più tarda, era rappresentata da Haroeris, ossia Horo il Vecchio, manifestazione solare del dio falco, da Tasenet-Nofret, sorella di Horus e da Panebtani, il signore dei due paesi. Il tempio fu inizialmente edificato da Tolomeo VI agli albori del proprio regno e in seguito ampliato dai suoi successori, tra cui Tolomeo XIII che costruì le sale ipostile, sia interne che esterne. I due corpi che formano il complesso sono perfettamente simmetrici rispetto all’asse principale, con la conseguenza di avere due ingressi rispetto al muro esterno e due passaggi tra una stanza e l’altra. Il santuario di sinistra è dedicato al dio Horo, mentre quello di destra al dio Sobek, tuttavia i bassorilievi che decorano i due santuari tributano la medesima importanza alle due divinità. Gli interni sono ricchissimi di incisioni degne di nota e inutili da citare senza la possibilità di avere il tutto dinanzi a sé, tuttavia destano molto interesse alcuni bassorilievi raffiguranti l’arte medica e un complesso sistema di calendarizzazione.

I due ingressi
I sarcofagi in cui vennero rinvenuti i coccodrilli mummificati
Una traccia dei colori originari
Una porzione del calendario

Il tempio ha subito, nel corso del tempo, alcune inondazioni da parte delle acque del Nilo, terremoti, utilizzi diversi (anche quale cava) nonché un utilizzo quale chiesa copta ortodossa, il che ha permesso di rinvenirvi un discreto numero (circa trecento) di mummie di coccodrilli, alcune di esse ora esposte nel relativo museo.

Mummie di coccodrilli
Alcuni ancora intatti
E il benvenuto quotidiano lasciato dai camerieri ai piani 🤣

Egitto/ Viaggi

Monastero di San Simeone e Tombe dei Nobili

Alcuni dei contorni che ci hanno servito a pranzo (è pur sempre un blog di cucina, no?!)
Una tahine strepitosa

Il pomeriggio di questa giornata la ricorderò come una delle più faticose della mia vita, infatti dopo aver pranzato in un ristorante nubiano, pur essendomi mantenuta leggera, mi sono trovata ad affrontare il vero sole desertico, quello che ti manda fuori di testa. Inizialmente ci siamo avvicinati alla nostra prima visita navigando placidamente sulle acque del Nilo e godendo della brezza del fiume, per poi salire al Monastero a dorso di cammello, che già di per sé non stata una passeggiata (terrore puro, lo ammetto, nonostante il carattere mite e dolcissimo dell’inusuale mezzo di trasporto, che si è lasciato coccolare con estremo piacere a fine traversata).

Primo incontro con Ferrari, il mio dolcissimo mezzo di trasporto

Durante la navigazione abbiamo avuto modo di ammirare il famoso hotel Katarakt, conosciuto grazie ad “Assassino sul Nilo” di Agatha Christie, nonchè il mausoleo dell’Aga Khan, sotto il quale ancora sorge la villa di famiglia. Giunti a destinazione abbiamo raggiunto il Monastero copto di San Simeone a dorso di cammello: San Simeone, figlio di Cleofa e di Maria di Cleofa, oltre che, secondo la credenza generale, cugino di Gesù Cristo, era un ebreo leader del cristianesimo e, si narra, secondo vescovo di Gerusalemme, dopo Giacomo il Giusto, tant’è che ancora è venerato quale santo in tutta la cristianità.

Lo storico hotel citato da Agatha Christie
Il monastero dell’Aga Khan e la villa di famiglia
Navigando sul Nilo

Le rovine di tale monastero costituiscono il maggior esempio di architettura copta in Egitto e sorgono nel deserto di Aswan, a soli 700 metri dal Nilo, di fronte all’isola di Philae (File); tale edificio ha subito un gran numero di lavori di ricostruzione, tra cui l’erezione delle sue alte torri nella prima metà dell’XI secolo. Ben poco è rimasto del monastero, tuttavia ad oggi ancora genera notevole interesse tra gli architetti e gli archeologi, comunque all’interno del cortile vi sono ancora i resti di un affresco raffigurante il Cristo sul trono tra gli angeli.

Entriamo nel Monastero
La chiesa

Alcuni affreschi sono ancora visibili
I giacigli dei monaci ospitati del complesso
Soffitti decorati
Altri dormitori per i monaci che qui trovavano accoglienza
La tavola rotonda dove si consumavano i pasti
La macina e il forno
Le stalle

Adiacenti al monastero vi sono alcuni edifici sussidiari e delle grotte, nonché degli alloggi; del resto anche la terrazza superiore venne progettata quale complesso residenziale per i proprietari, oltre a prevedere delle celle monastiche, un refettorio, una cucina e delle officine. La chiesa costituisce l’esempio più rilevante delle prime chiese a cupola egiziane e delle fornaci di ceramica, infatti il monastero rappresenta anche un particolare interesse per lo studio della ceramica di Aswan, usata nell’Alto Egitto ed in Nubia durante il periodo romano, bizantino ed islamico; vi si possono notare anche frantoi di granito decorati da croci.

Il monastero venne costruito su un primo livello di pietra ed un secondo livello di mattoni di fango che ospitava fino a mille monaci, i cui giacigli ancora oggi sono visibili al visitatore.

Sotto un sole impietoso

Abbandonato il monastero siamo risaliti a bordo del cammello, personalmente dopo una breve sosta all’ombra, abbracciata alla borraccia dell’acqua, già sofferente e provata, prima di affrontare la peggior attraversata della mia vita, durante la quale ho letteralmente temuto di cadere dal cammello in preda ad un’insolazione.

Qui veniva posta la statua ad immagine del defunto
E qui veniva calato il corpo

Dopo mezz’ora di strenua lotta contro me stessa e di autocontrollo abbiamo raggiunto le Tombe dei Nobili, necropoli ricca di incisioni e di tombe di impiegati, capisquadra, sacerdoti, soldati, funzionari, visir, principi e comunque personaggi di rango elevato. Esse sorgono sugli alti pendii di fronte Aswan, a nord dell’isola di Kitchener, e si tratta di siti ancora in fase di scavo, tuttavia ad oggi sono visibile le tombe di Mykho e Sabni, padre e figlio, risalenti al lungo regno del faraone Babi della ventiduesima dinastia; alcune sculture site a Kabsabani narrano come l’esercito di Sabni e i relativi leaders si siano riuniti in Nubia allo scopo di punire la tribù responsabile dell’omicidio del padre e di recuperarne il corpo. Pochi cenni sulla struttura di tali sepolcri: essi erano composti da due parti principali, un luogo per le offerte oppure una cappella decorata, al livello del suolo, dove poter venerare la memoria del defunto, più una parte sotterranea dove riposava il corpo unita ente ai propri effetti personali.

I colori sono quelli originali

Solitamente sono una persona che, a costo si stringere i denti, non molla mai, ma l’ultima tomba l’ho vista solo dalle foto scattate da mio marito, con gran rammarico essendo stata la più bella, ma il caldo e il sole erano eccessivi ed onestamente un solo passo in più e sarei crollata.

Il ritorno verso l’aria condizionata 🤣

La discesa a piedi fino all’imbarcazione che ci avrebbe riaccompagnati all’hotel è stata durissima, ad ogni passo pensavo di crollare, tuttavia ammetto essere stata una delle esperienze più particolari della mia vita.

Egitto/ Viaggi

Il nostro Egitto sulle tracce della storia

La luce riflessa dalla sabbia

Rieccoci qua, i due vagabondi curiosi, questa volta sulle tracce della storia, senza cagnoline e senza Chewbecca al seguito. Quest’anno partiamo da Milano, esigenza che ci costringe a pernottare una notte a Malpensa a causa della scarsità di collegamenti ferroviari con Trieste (e tra due Frecciarossa e due hotel a Malpensa… una mazzata economica 🤬😭🤬).

È solo una parete dell’aeroporto, ma mi ha colpita moltissimo

Partiamo per Il Cairo e, successivamente, dopo circa tre ore di sosta, abbiamo il volo per Aswan: già l’arrivo nella capitale mi regala una sensazione strana, circondata da una luce polverosa e anomala, una luce diversa da quella cui sono abituata… e il fascino per una terra inesplorata ha inizio!

Isola Elefantina: il panorama dall’hotel direttamente sul Nilo

Arriviamo alla sera ad Aswan dove un delegato dell’agenzia viaggi ci accoglie per accompagnarci al nostro hotel, sull’isola di Elefantina, una vera meraviglia affacciata sul Nilo, una costante che ci accompagnerà per i prossimi nove giorni.

Ed eccoci al Tempio di File

La prima escursione è al Tempio di File, cui è dedicato questo post, visto che questa volta ho deciso di scindere il viaggio non per giornate ma per mete, un po’ a seguito delle complessità descrittive e anche perché sto redigendo i post “in differita”, avendo avuto molte difficoltà di connessione durante la permanenza in Egitto.

La maestosità

L’isola costituiva la frontiera meridionale del regno egizio, motivo per il quale i faraoni vi dislocarono una guarnigione militare, abitudine mantenuta anche dai Macedoni e dai Romani, ma l’isola rivestì una posizione di particolare rilevanza in quanto, essendo le cateratte spesso impraticabili, le merci viaggiavano via terra e, nel loro percorso verso sud, venivano sbarcate a File e reimbarcate ad Aswan (da noi conosciuta come Assuan) una volta superato il dislivello idrico, come del resto avveniva nel percorso inverso.

Bello eh? Ps. Non vi aspettate descrizioni degne di un egittologo, sia chiaro 🤣
Ma i capitelli a forma di papiro aperto? La bellezza…

L’isola riveste una notevole importanza anche dal punto di vista religioso e culturale, in quanto ritenuta uno dei luoghi di sepoltura di Osiride, pertanto sacra sia agli egizi che ai nubiani, tant’è che il primo edificio sacro, del quale oramai rimangono poche tracce, risale al faraone nubiano Taharqa, denominato “l’inavvicinabile” in quanto era ritenuto sacrilego l’avvicinamento di chiunque non fosse un sacerdote. Nel corso dei secoli sorsero altri templi sull’isola, dedicati ad Horus e Hathor e affiancatisi a quello di Iside; ciò aumentò il flusso di pellegrinaggio a tal punto che venne richiesto l’intervento del sovrano Tolomeo VIII al fine di porre un freno alla situazione caotica creatasi, richiesta ancora incisa sull’Obelisco di File.

Una croce copta, segno del passaggio dei cristiani
La chiave della vita, simbolo presente e ricorrente ovunque
Il Tempio di Hathor, facente parte del complesso architettonico, dedicato alla musica
Suonatori d’arpa

Nel VI secolo, per volere di Giustiniano I, i templi vennero chiusi e alcune strutture vennero utilizzate quali luogo di culto cristiano, almeno fino alla loro definitiva chiusura a seguito dell’invasione araba del VII secolo. Ad oggi, tra tante civiltà che hanno transitato su questa isola, ancora è visibile un’iscrizione celebrativa che così recita: «L’an 6 de la République, le 15 messidor,/ une armée française,/ commandée par Bonaparte,/ est descendue à Alexandrie./ L’armée ayant mis vingt jours après,/ les Mamelouks en fuite aux Pyramides,/ Desaix, commandant la première division,/ les a pousuivis au-delà des cataractes,/ où il est arrivé, le 13 ventôse de l’an 7./ Les généraux de brigade,/ Davoust, Friant et Belliard,/ Donzelot, chef de l’état-major,/ Latournerie, comm. des l’artillerie,/ Eppler, chef de la 21e légère,/ le 13 ventôse an 7 de la République,/ 3 mars, an de J.C. 1799./ Gravé par Castex sculpteur».

Di cembalo (o almeno così lo interpreto)
Strumenti a fiato
E il meraviglioso affaccio sul Nilo

Questo è un breve e conciso excursus storico relativo al sito, assolutamente doveroso, ma come ben avete imparato a conoscermi, io ho annusato l’aria, ho ammirato la sabbia infinita ovunque, mi sono beata delle acque scintillanti del Nilo, mi sono persa dinanzi l’immensità dei palmeti, ho parlato con la gente cercando di conoscere e capire una cultura così diversa da quella europea, nonostante il popolo egiziano non si consideri propriamente africano… siete pronti per seguirmi in questo incredibile viaggio di emozioni?

Arte, storia ed architettura/ Baviera/ Germania/ Viaggi

Ultimo giorno sotto una pioggia torrenziale!

Stamani ripartiamo dall’area di sosta che ci ha accolti per la notte mentre il tempo sta cambiando: si sta sollevando un vento violentissimo mentre il cielo non promette nulla di buono, tant’è che raggiungiamo la prima tappa di oggi sotto il diluvio.

La chiesa che ci si para davanti è quella di Marienberg, la Wallfahrtkirche Maria Himmelfahrt, chiamata anche la “Perla della valle del Salzach”, considerata una delle più belle chiese rococò della Baviera… e a ragione! Ma veniamo a qualche traccia storica perché vi assicuro che ne vale davvero la pena: la struttura a due campanili domina tutta la piana circostante dalla sommità di una collina sovrastante il corso della Salzach e quando i monaci Cistercensi trasferirono il proprio monastero a Raitenhaslach, sul Marienberg sorgeva unicamente una cappella. Nel corso del secoli il santuario, luogo di pellegrinaggio, venne rinnovato ed ingrandito sino a quando, nel settembre del 1760, la chiesa venne totalmente ricostruita, su commissione dell’abate Emanuel II Mayr, artefice anche del monastero di Raitenhaslach, al costruttore bavarese Franz Alois Mayr e al pittore Martin Heigl, allievo del rinomato Johann Baptist Zimmermann. L’edificio venne consacrato nel 1764 ma, in seguito alla secolarizzazione, esso venne chiuso e parte degli arredi venne trasferita nel vicino monastero. La chiesa era già destinata alla distruzione, tuttavia fortunatamente i residenti si opposero strenuamente a tale decisione appellandosi al futuro re di Baviera Ludvig I, che fortunatamente acconsentì alla richiesta.

Per accedervi si salgono cinquanta gradini, suddivisi in cinque rampe da dieci, quale simbolo delle Ave Maria del Rosario, lungo le quali sono presenti svariate lapidi in memoria dei caduti dei due conflitti mondiali, ma è appena si varca la soglia che si compie la magia: non vi tedio con ulteriori descrizioni in merito alle opere ivi contenute, vi basti qualche traccia storica per meglio comprendere le vicissitudini del luogo… ammiratela e basta, è stupenda!

Anche la serratura è un capolavoro di maestria

Lasciata la chiesa, mentre la pioggia intensifica ulteriormente la sua portata, raggiungiamo il monastero di Raitenhaslach, sopra già citato e che resistette alla secolarizzazione fornendo anche luogo di sepoltura ai membri della dinastia Wittelsbach, nonostante le alterne vicende che portarono, dopo la consacrazione del 1186, alla distruzione della basilica romana a tre navate allora presente, sino ad arrivare al capolavoro barocco odierno, nuovamente ad opera del predetto Mayr e che ad oggi rappresenta un luogo di formazione e cultura ove si distinguono il Neuen Kloster, l’Alter Kloster e la Wasser Turm, ma anche questa volta il pezzo forte è lei, la chiesa, meraviglioso gioiello barocco. A voi le immagini, da rimanere a bocca aperta ancora una volta!

Anche le acquasantiere seguono il medesimo stile architettonico
Ma quanto è carino l’Insektenhotel posto nel giardino?

Le specie ospitate

Sempre sotto un cielo gelido invernale raggiungiamo Tittmoning, piccolo centro molto carino ma, essendo un sabato pomeriggio di tempo impietoso, letteralmente deserto; raggiungiamo il castello grazie ad una salita abbastanza abbordabile, ma che non presenta alcun tratto di interesse storico o architettonico.

Il ponte che conduce al castello
Un particolare dell’ingresso

Rientrando sulla strada verso il parcheggio che ci ospita notiamo una curiosa fontana sovrastata da una cicogna e scopriamo che si tratta della Storchenbrunnen, realizzata intorno al 1625, raffigurante una cicogna con una serpe chiusa nel becco e rappresentante la vittoria del bene sul male; si narra, inoltre, che se si desidera un figlio sia necessario passarvi davanti e poi voltarsi…

La Storchenbrunnen

E con questo post vi lascio sino alla settimana prossima… devo proprio lasciarvi una buonissima ricetta dolce, facile e di effetto!

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