Oramai siamo in giro da molti giorni e le tappe si sommano una sull’altra, motivo per il quale, complici anche le festività natalizie, fatico un po’ a narrarvi le ultime tappe, ma con un po’ di impegno cerco di portare a termine tutto.
Oggi siamo a Valjevo, una cittadina che ci sconcerta sin dal primo impatto in quanto totalmente deserta, nonostante l’ora di punta e in piena estate, ma comunque cerchiamo un parcheggio un po’ fuori dal centro in maniera tale da non dare fastidio a nessuno e ci incamminiamo alla scoperta di questa cittadina, incontrata grazie alla ricerca della Valjevska Pivara, noto birrificio con annesso spaccio, dove però la scelta offerta agli acquirenti si rivela alquanto scarsa.
Valjevo è una delle rare città che presenta due centri cittadini, uno di fronte all’altro, divisi dal fiume Kolubara, quasi a dimostrare un simbolico contrasto tra Est ed Ovest, secolare collisione in suolo serbo; nel corso del primo conflitto mondiale Valjevo fu il centro del quartier generale dell’esercito serbo, sotto il comando del duca Živojin Mišić, esercito che sconfisse le truppe austroungariche nella battaglia di Kolubara, giusto per fornire un minimo di infarinatura storica. In tale conflitto si ebbe una gran perdita di vite umane, l’intera città venne adibita ad ospedale bellico e vide anche una vasta epidemia tifoide: oggi la città è talmente deserta che sembra quasi di poter assistere ai tristi scenari dell’epoca…
Sulla riva destra si possono ammirare le stradine di Tesnjar, centro storico acciottolato in stile orientale, fiancheggiato da piccole botteghe artigianali delle quali poche ad oggi sopravvivono, ma che riporta alla memoria l’atmosfera turca; dall’altro lato del fiume incontriamo la parte moderna, tipicamente europea, spesso palcoscenico, al pari di Tesnjar, di eventi culturali, artistici e cinematografici… e vi assicuro che passeggiando lungo le stradine acciottolate di Tesnjar si ha la sensazione di trovarsi catapultati nell’antico west tra cavalli imbizzarriti e sparatorie!
Di storia da raccontare ce ne sarebbe a bizzeffe, ma oramai mi conoscete e sapete come io eviti troppi tecnicismi a favore delle emozioni che un luogo riesce a regalarmi, quindi preferisco accompagnarci lungo le stradine di Valjevo e, foto alla mano, raccontarvi qualcosa. Tuttavia degna di nota è la Cattedrale della Resurrezione del Signore, la più grande chiesa ortodossa di Valjevo, costruita sulla confluenza tra il fiume Reka Gradac a Kolubar, uno dei maggiori templi serbi dopo San Sava di Belgrado: la sua costruzione iniziò nel 1992, in stile serbo-bizantino, su progetto dell’architetto Ljubica Bosnjak, occupa una superficie pari a 978 metri quadri mentre la galleria ne occupa 229, un tanto per darvi l’idea della maestosità.
Una volta attraversato il Kolubara l’aspetto del centro cambia un po’ e si inizia ad incontrare qualche anima viva, ma pur sempre nel deserto totale, il che ci permette una passeggiata rilassante e una visita molto tranquilla alla cittadina, tra chiese e qualche monumento.
A questo punto, lasciata Valjevo, possiamo dire sia iniziato il nostro viaggio di ritorno, pur se con moltissima calma e toccando varie cittadine: le prime due tappe sono dedicate ad altrettanti monasteri, e posso dire che queste sono le visite migliori di questo viaggio itinerante perchè sono davvero splendidi e curatissimi!
Finalmente riesco a riportarvi con me dopo molti giorni in cui ho dovuto sospendere l’attività sul blog a causa del lavoro troppo intenso e quindi della poca voglia di approcciarmi ad uno schermo nel poco tempo libero.
Riprendiamo la nostra passeggiata per le vie di questa magnifica città e raggiungiamo Skardalija, vecchio quartiere pedonale costituito da un dedalo di stradine ricche di locali e di case colorate, molte delle quali dipinte e che conferiscono al quartiere un’atmosfera bohemien che gli è valso anche un meritato gemellaggio con la parigina Montmartre. La strada principale è lastricata come da usanza turca ed è affiancata da alcune case decorate da disegni ed affreschi, tra le quali quella del pittore e poeta locale Djura Jaksić.
Di molti punti di interesse vi lascio le foto, proprio perchè si tratta di palazzi o statue incontrate lungo il percorso e dei quali non sempre posso fornire molte notizie; tra questi il palazzo dell’Assemblea Nazionale Serba, costruito sul modello del palazzo del congresso americano.
Proseguendo incontriamo il gigantesco monumento a Stefan Nemanjia, considerato il padre della nazione serba e quindi particolarmente amato dal popolo locale, soprattutto in quanto egli fu in grado di unire in un unico stato le diverse entità slave della zona balcanica; accanto al monumento incontriamo ciò che resta del famoso treno blu di Tito, mezzo di trasporto ufficiale e privato del presidente dell’allora Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. Infatti il Maresciallo Tito, nonostante la fama e il coraggio di molte scelte politiche, era spaventatissimo dall’idea di volare, pertanto egli optò per la soluzione che meglio gli permetteva di spostarsi mantenendo la possibilità di lavorare nel mentre raggiungeva la tappa desiderata, oltretutto nel lusso assoluto stante il veicolo dotato di ben diciannove carrozze realizzato nelle officine di Smederevska Palanka e di Maribor (quest’ultima attualmente in Slovenia), nonostante successivamente le locomotive vennero sostituite da altre provenienti dalla Repubblica Federale Tedesca e dagli Stati Uniti. Le carrozze del convoglio originale vennero chiamate come alcune importanti battaglie della seconda guerra mondiale: Dinara, Kozara, Stjeska e Neretva; Tito e la consorte Jovanka usarono spesso il convoglio per raggiungere le isole Brioni, al largo della costa istriana, per le vacanze estive, percorrendo la costa montenegrina, assolutamente panoramica ma impervia per un normale treno passeggeri. Dopo tanta storia e tanti sfarzi vedere quel che resta di questo povero treno, abbandonato tra la spazzatura e gli escrementi dei barboni, stringe il cuore, vuoi perchè trattasi di una macchina veramente molto bella, ma soprattutto perchè legata a tanta storia e alle vicissitudini di un uomo che, nel bene o nel male, ha scritto un pezzo di storia; nel mio personale posso dire che ero una bambina che mio nonno, ascoltando la radio, mi raccontava di questo “signor Tito” e quindi, pur ignara di chi fosse nello specifico, per la mia realtà infantile era oramai un nome ricorrente e quasi di famiglia, quindi vederne il treno, così mal ridotto, mi ha riportato il cuore a mio nonno e ho pensato “chissà come ci sarebbe rimasto male Nonno Gigi a vedere questo scempio”…
Sempre ricollegandomi alla storia recente vi lascio uno scatto anche dell’edificio del Ministero della Difesa jugoslavo, capolavoro dell’architettura del dopoguerra, eretto nel 1963 e che, per ironia della sorte, è stato pesantemente bombardato dalle truppe NATO il 7 maggio 1999, nel corso dell’operazione Allied Force; il palazzo è rimasto inalterato dopo la distruzione, assolutamente inamovibile e considerato monumento culturale in ricordo e quale monito futuro.
Vi lascio qualche scatto anche della Vaznesenjska Crkva, la chiesa dell’Ascensione, tempio ortodosso che custodisce ancora la campana con la quale venne annunciato il Hati-sheriff nel 1830, con cui l’Impero Ottomano concesse l’autonomia alla Serbia; come molti edifici religiosi anch’essa subì saccheggi ed eventi bellici, tuttavia oggi, anche grazie ad un ottimo restauro, appare stupenda e rappresenta un punto fermo per la comunità dei fedeli.
Una delle visite che ci ha impegnati più a lungo è stata quella di Kalemegdanska Tvrdjava, che ha compreso un giro immenso alla fortezza (non estesa… di più), comprensiva di una vasta esposizione di mezzi militari di ogni epoca, dal medioevo sino ai giorni nostri; la visita ci ha portato via quasi tutto il giorno, in quanto la fortezza si estende dalla città bassa, Donji Grad, lungo la sponda meridionale del Danubio, passando per la torre Nebojsa, per la chiesa Ružica e per Sveta Petka, inoltre lungo il percorso si incontrano il bagno turco e la porta Carlo VI; la città alta, Gornji Grad, è occupata da un parco ricco di percorsi pedonali che si snodano tra monumenti, resti di antiche costruzioni e campi sportivi. Incontriamo anche la polveriera, risalente al 1720, manufatti di epoca romana e altri risalenti al periodo dell’occupazione austriaca, tra cui un pozzo, denominato “pozzo romano” nonostante la paternità austriaca, che venne utilizzato quale silo per il grano ma soprattutto è caratterizzato per la grande scala elicoidale che lo percorre e che è stata ispirata da quella del pozzo di San Patrizio di Orvieto.
Di siti interessanti, lungo i percorsi della fortezza, se ne incontrano moltissimi e di ogni epoca, ma mi fermo qua e vi invito, se ne avrete l’occasione, a visitarla: noi l’abbiamo percorsa tutta con un caldo devastante ma ritengo possa essere una bellissima passeggiata nel periodo primaverile.
Alcuni punti più interessanti del percorso ve li ho già descritti in un post specifico dedicato a Santa Petka, quindi penso possiamo proseguire e tuffarci nella città moderna, quella in cui non manca alcun esercizio commerciale voi possiate cercare, quella dei locali, dei ristoranti, della vita sociale e del divertimento; certamente Belgrado non annoia, è piena di vita, di giovani, di modernità, una frattura verso quella Serbia rurale incontrata sino ad oggi, sembrano quasi due paesi diversi ma ve l’avevo detto che si tratta di un paese controverso!
Arriviamo finalmente alla tappa più temuta per problemi organizzativi in quanto Belgrado offre un unico punto in cui poter sostare con il camper, ovvero una piccolissima area di sosta che non siamo riusciti a prenotare in quanto non hanno mai risposto alle nostre mail, oltre ad essere lontanissima dal centro (e i bus non accettano animali a bordo).
Riusciamo ad incastrarci nel caos che affolla il piccolo parcheggio, fiduciosi nel fatto che, come consigliatoci dai gestori, utilizzando un servizio taxi simile ad Uber, dotato di mezzi pet friendly, saremmo riusciti a raggiungere il centro, motivo per il quale ci apprestiamo a scaricare l’app, prenotiamo la chiamata, paghiamo il sovrapprezzo prioritario altrimenti nemmeno ti rispondono, attendiamo il mezzo inviatoci che, appena vede i nostri “pets” si rifiuta di offrirci il servizio di trasporto; dopo una lite furiosa con il servizio clienti ci viene reso l’importo pagato per il prioritario con mille scuse ma noi siamo ancora lì, fermi sotto il sole cocente e senza sapere come fare. Dopo aver deciso di comunicare ai gestori la nostra volontà di andarcene, chiedendo quindi il rimborso di due notti di sosta, finalmente si offrono di portarci e venirci a riprendere, con tariffa taxi, che a noi ovviamente sta benissimo (magari dircelo prima di farci perdere quasi tre ore…).
Polemica fatta, ora procediamo con la visita alla città: meravigliosa!!! Si tratta di una città tra le più antiche d’Europa, situata nella Serbia centrale, proprio alla confluenza dei fiumi Sava e Danubio, all’incontro della penisola balcanica con la Pannonia: dal 1919 al 1929 fu la capitale del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, per poi rivestire il ruolo di capitale della Jugoslavia sino al 1992. E’ una vera e propria metropoli, con più di un milione e mezzo di abitanti, capitale economica, finanziaria, culturale e scientifica del paese, il cui nome in origine fu Singidun, di origine celtica, ma conosciuta anche come Alba Bulgarica, stante i decenni in cui i Bulgari dominarono il territorio. Il nome Beograd significa “città bianca” e le venne dato da Papa Giovanni VIII, nonostante venne usato per un brevissimo periodo, subendo l’assegnazione di nomi diversi a seconda delle dominazioni e delle occupazioni presenti sul territorio, tra cui Prinz-Eugenstadt durante l’occupazione tedesca subita nel corso del secondo conflitto mondiale.
La storia che ha accompagnato Belgrado è vastissima, motivo per il quale c’è tanto, tantissimo da vedere, oltre alla possibilità di vivere una città estremamente moderna e giovane, quindi vi accompagnerò nelle visite più rilevanti senza tediarvi, magari dividendo il tutto in due post, così come del resto la abbiamo visitata noi in due giornate.
Questo post tocca solo “Lei”, la bellezza assoluta, poichè le foto sono tante e non voglio appesantire l’articolo: il Tempio di San Sava, la più grande chiesa ortodossa dell’area balcanica, che si innalza per 70 metri e che in realtà vorrebbe imitare la cattedrale Hagia Sophia di Istanbul e che anche per questo ha subito pesanti critiche, tuttavia l’interno è di una bellezza da togliere il fiato.
Il tempio sorge al centro di Belgrado, collegato alla vasta piazza Slavija, ed è dedicato a San Sava, venerato in tutta l’Europa orientale e le cui spoglie vennero bruciate dai turchi su una pira proprio nel punto in cui sorge il tempio, che nacque un decennio dopo la liberazione dall’oppressione turca, inizialmente quale chiesa commemorativa e poi successivamente ampliato a partire dal 1906. I lavori però subirono svariati rallentamenti, prima a causa del conflitto con la Bulgaria, poi del primo conflitto mondiale, per riprendere nel 1919 e subire una ulteriore interruzione nel 1941 a seguito dei bombardamenti tedeschi; dopo altre sospensioni di varia natura si arrivò alla ripresa dei lavori ad opera del patriarca German, che negli anni proseguirono anche se ad oggi non risultano essere ancora terminati.
Il tempio presenta una struttura a pianta centrale sulla quale si apre la maestosità di una cupola dalla bellezza mozzafiato, mentre i lati corti, quattro in totale vista la struttura a croce greca , sono sormontati da altrettante semicupole, ottenendo una struttura abbastanza omogenea di 91 metri di lunghezza e 81 di larghezza, esternamente in marmo travertino e con la capienza per ospitare diecimila persone.
La cripta sono riuscita a vederla per un mero miracolo e di corsa in quanto, al momento della visita, era chiusa; ero rientrata per un attimo avendo dimenticato di cercare un particolare e, miracolo, la cripta era stata aperta… purtroppo di lì a pochi minuti il nostro accompagnatore ci sarebbe passato a prendere per riaccompagnarci all’area camper e, detto tra noi, guai a ritardare di mezzo minuto in quanto molto puntiglioso e pressante. La cripta, oltre alla bellezza, contiene il tesoro di San Sava e il sepolcro del despota Stefan Lazar Hrebeljanović. Da dire ce ne sarebbe ancora moltissimo, ma ho voluto darvi solo qualche informazione per la comprensione del luogo, il resto come al solito lo lascio alle immagini con la promessa di accompagnarvi a visitare il resto della città quanto prima. Purtroppo ultimamente vado al rallentatore perché ho un periodo pesantissimo dal punto di vista lavorativo, ma prometto di provarci ad accelerare un po’, nonostante ogni tanto inserisca qualche intervallo di lettura.
Lasciate le rive del Danubio decidiamo di raggiungere Lepenski Vir, località che ospita un importante sito archeologico del mesolitico: siamo al centro della penisola balcanica e ammiriamo un insediamento di notevoli dimensioni attorniato da dieci villaggi satelliti, che ci induce ad immaginare una presenza umana a partire dal 7000 a.C. e che raggiunse il suo massimo sviluppo tra il 5300 e il 4800 a.C.. Da quanto apprendiamo nel corso della visita e dalle testimonianze architettoniche, la civiltà di Lepenski Vir è stata ricca di vita sociale e religiosa, nonchè di notevole livello culturale.
Il sito sorge sulla riva meridionale del Danubio, presso il centro abitato di Donji Milanovac, in prossimità delle Porte di Ferro, quindi siamo poco distanti dalla terra rumena: i primi scavi risalgono al 1965, quindi si tratta di un sito relativamente recente, tuttavia solo due anni dopo vi fu il ritrovamento delle prime sculture mesolitiche e da qui la sua importanza; nel 1971 gli scavi furono portati a termine, tuttavia l’intero sito venne trasferito 29,7 m. più a monte per evitare l’inondazione conseguente all’apertura di una diga, che sarebbe avvenuta nel corso dell’anno seguente.
Il sito rappresenta diverse fasi archeologiche che vanno a coprire oltre un millennio di storia, dal mesolitico al neolitico e quanto ritrovato consiste principalmente in utensili di pietra e ossa, in resti di abitazioni ed oggetti rituali, tra i quali alcune sculture in pietra; lo sviluppo dell’insediamento si ritiene sia stato fortemente influenzato sia dalla presenza del Danubio, in quanto necessaria riserva idrica, sia dal varco attraverso i Carpazi, costituendo quindi una morfologia favorevole per la produzione alimentare, incentrata soprattutto sulla pesca, e di materiali da costruzione.
Una curiosità relativa a questi antichi insediamenti: mentre le inumazioni dei morti avvenivano in un cimitero al di fuori delle mura del villaggio, gli anziani notabili venivano cremati dietro il camino delle case, secondo un preciso rito religioso.
Terminata la visita a Lepenski Vir ci avviciniamo al Monastero di Sveta (Santa) Petka, sito all’interno delle mura di Kalemegdanska Trvdjava: si narra che nell’anno 1396 la moglie del principe Lazar Hrebeljanovic, Milica, prese in consegna le spoglie di santa Parascheva (Petka in lingua serba) per tumularla in un’area della città di Belgrado nella quale sorgeva una fonte ritenuta miracolosa e presso la quale sorgeva una piccola cappella, eretta ad opera di un generale dell’esercito. Dopo la conquista turca del 1521, il corpo venne trasferito a Costantinopoli e la cappella cadde quindi in disuso, per poi essere in parte demolita dai Turchi che vi costruirono una moschea, e successivamente definitivamente demolita ad opera degli Austriaci nel 1737. Nel 1937 il patriarca Varnava ebbe l’iniziativa di erigere una nuova cappella nei pressi di quella precedente, ma nel corso degli scavi fu ritrovato un centro di sepoltura dei soldati serbi caduti nel corso del primo conflitto mondiale, i cui resti vennero quindi traslati sotto la vicina torre di Jaksic.
Insomma la giornata odierna è stata interessante come le precedenti, quindi lasciamo questa meravigliosa oasi di pace e di serenità per avvicinarci al Castello di Golubac: un luogo bellissimo, una delle tappe migliori, ma lo vedremo insieme nel prossimo post!
Prima di recarci a Golubac, però, voglio mostrarvi ancora un paio di scatti fatti in una chiesetta piccolissima, sita nei pressi di Sveta Petka: si tratta di Crkva Ruzica, raccolta e stupenda, a soprattutto intestata ad una delle tre pie sorelle, Ruzica, Marica e Cveta, ciascuna delle quali avrebbe creato una chiesa nella zona. Non vi tedio con altra storia e vi lascio alle immagini perché é davvero meravigliosa!
Quella che vi racconto oggi è stata una giornata meravigliosa: il mio amore per l’acqua è noto, ma poter navigare dopo tante giornate di sole intenso e aria torrida è stato un sollievo apprezzatissimo! Prima di raggiungere le prossime tappe nel calore assurdo che ci ha accompagnati giorno dopo giorno, abbiamo trovato una piccola compagnia di navigazione a gestione familiare, diretta da una donna fantastica, Nataša, prima capitana fluviale serba, che ci ha accompagnati a bordo della sua barchetta a motore a visitare le Porte di Ferro, la Tabula Traiana e la statua del re Decebalo.
Salpiamo da un piccolo molo in mezzo al bosco e, dopo una breve navigazione, raggiungiamo le Porte di Ferro, il punto in cui le acque del Danubio sono più profonde ma il passaggio risulta essere più stretto e che non sono altro che una stretta gola tra la Serbia e la Romania; esse segnano il passaggio dai Carpazi meridionali ai Balcani e alimentano anche due centrali idroelettriche grazie ad un canale artificiale. In realtà le gole presenti sono molteplici, tuttavia quella che abbiamo attraversato è la principale, la Grande Kazan (kazan significa letteralmente “calderone”), ed è il punto i cui il fiume si restringe a 150 m. e raggiunge la profondità di 53 m.
Dalle Porte di Ferro raggiungiamo la Tabula Traiana, sulla riva opposta dl Danubio, in terra rumena, che per quasi duemila anni ha scrutato il corso del Danubio in attesa del ritorno di Decebalo, fino al 2004, anno in cui è stata inaugurata la gigantesca effige del vecchio re, scolpita nella roccia quasi di fronte alla stele, voluta e quasi interamente finanziata dall’imprenditore ed accademico rumeno Dragan, tant’è che, alla base della stele, leggiamo “Decebalus rex – Dragan fecit”.
Il blocco della Tabula Traiana, nel corso degli anni sessanta, è stato sollevato di quasi 50 metri per salvarlo dall’innalzamento del livello del fiume a seguito della costruzione della diga di Djerdap (e delle due centrali idroelettriche, di conseguenza); la stessa attenzione non si è potuta invece riservare all’isola di Ada Kaleh, situata davanti alla diga ed ex enclave turca, che è stata completamente sommersa dalle acque del Danubio insieme alla sua fortezza, alla moschea e al dedalo di vicoli e di antichi caffè.
Ma due cenni storici stavolta sono dovuti per meglio comprendere l’importanza del luogo: nella prima campagna militare contro i Daci, Traiano sconfigge Decebalo ma la capitale, Sarmizegetusa, è salva, pertanto il regno dei Daci non capitola e ciò porta ad un breve armistizio. Traiano usa la breve pausa per rafforzare il limes del Danubio e per preparare una seconda campagna contro gli avversari, tra cui vi sarà la costruzione di un ponte sul fiume a collegamento tra la fortezza di Pontes in Mesia Superiore con quella di Drobeta in Dacia, al fine di entrare nel territorio nemico con maggiore facilità. Degno di nota il fatto che il ponte venne progettato dall’architetto Apollodoro di Damasco, lo stesso che realizzò il foro di Traiano a Roma.
Mi fermo qui con le noiosissime tracce storiche, ma utili a comprendere l’astio tra Traiano e Decebalo: quello che a noi interessa in questo momento è la risalita lungo un tratto meraviglioso di questo imponente fiume che del resto attraversa mezza Europa. Il suo corso, navigando lungo la via di Traiano, attraversa il parco nazionale di Djerdap e le sue gole, dove i Carpazi e i Balcani collidono, dove Sipska Klisura, Mali Kazan e Veliki Kazan presentano delle pareti a strapiombo che si restringono fino a 150 m., il punto più stretto del Danubio, poi si naviga verso Gospodin Vir, punto di massima profondità del fiume con i suoi 82m., e infine Golubac. Si tratta di acque difficilmente navigabili, specie nell’antichità quando il corso, non ancora modificato dall’opera dell’uomo, erano molto turbolente e ricche di rapide, di gorghi e vortici pericolosissimi e che pure venivano quotidianamente affrontati da dei navigatori di rara maestria.
Volevo parlarvi anche di Lepenski Vir, magnifica area archeologica, ma il post è già molto lungo, del resto non poteva essere diverso visto il mio viscerale amore per l’acqua e per la navigazione: vi ho fornito le informazioni avute da Nataša, che ci ha allietati di un’ottima visita guidata in lingua inglese e che mi sono limitata a riportarvi con qualche limatura dettata dagli appunti presi la sera stessa e da qualche informazione reperita on line in quanto ero carente sui dati numerici relativi al Danubio, per mia dimenticanza.
Questa giornata del nostro viaggio in terra balcanica è stato costellato unicamente da spostamenti da un monastero all’altro, una giornata estremamente rilassante dopo tappe costituite esclusivamente da camminate infinite, anche se un po’ meno adatta alle nostre quattrozampe, alle quali ovviamente l’accesso era interdetto, nonostante spesso le nostre visite vengano fatte a turno proprio per evitar loro di attendere in camper e poter godere ugualmente di quattro passi.
La sera precedente abbiamo raggiunto il Monastero di Sopoćani e abbiamo dormito nel parcheggio antistante, il che ci ha permesso di riposare nel silenzio monastico più assoluto e di godere di una fresca brezza, vista l’altitudine, graditissima in questo periodo torrido.
Il monastero, dono del re Stefano Uroš I, venne costruito nella seconda metà del XIII secolo nei pressi delle sorgenti del fiume Raska, che scorre poco distante dal piazzale che ci ha ospitati; la chiesa è dedicata alla Santissima Trinità e venne completata nel 1265, mentre solo in seguito ne furono decorati gli interni. Si tratta ovviamente di un complesso di rito ortodosso ed è inserito nell’itinerario culturale del Consiglio d’Europa Transromanica. Gli affreschi in esso contenuti si ritiene siano antecedenti a Cimabue, quindi di matrice bizantina, nonostante purtroppo i dipinti della cupola non siano sopravvissuti al tempo.
Nel corso del XVI secolo i monaci dovettero lasciare il monastero in diverse occasioni a causa delle costanti minacce da parte dell’impero ottomano, i quali nel 1689 lo diedero alle fiamme costringendo i monaci alla fuga in Kosovo e lasciando quindi la struttura disabitata per più di due secoli e completamente in rovina. Nel corso del XX secolo venne portato avanti un massiccio restauro, conclusosi con il magnifico risultato che ad oggi ci viene offerto, e che è tuttora sede di una cospicua comunità di religiosi.
Nel 1979 esso è stato inserito tra i patrimoni dell’umanità dell’UNESCO.
La tappa seguente ha interessato il Monastero di Studenica, bellissimo complesso ricco di edifici e circondato da un giardino di meli, oltretutto lo abbiamo raggiunto in una giornata meravigliosa di cielo terso e ventilata: dopo una rilassante passeggiata nel giardino abbiamo raggiunto la chiesa, inferiore ad altre per decorazioni ma non per solerzia del custode che ci ha rincorsi con un fastidioso mantello in quanto avevamo le caviglie scoperte (!!!)… non aggiungo altro…
Il monastero venne fondato nel 1190 da Stefano Nemanja, capostipite del moderno stato serbo, le sue mura fortificate racchiudono due chiese, quella della Vergine e quella del Re, entrambe edificate in marmo bianco; il monastero è conosciuto per i suoi splendidi affreschi in stile bizantino del XIII e XIV secolo.
Anch’esso è stato incluso tra i patrimoni dell’umanità UNESCO ed è inserito, al pari del precedente, nell’itinerario culturale del Consiglio d’Europa Transromanica.
Da ultimo abbiamo visitato il Monastero di Ziča, complesso abbaziale ortodosso intitolato all’Ascensione di Gesù e risalente al XIII secolo, sito a pochi chilometri da Kraljevo. Poco si sa della sua edificazione, anche se si suppone essa abbia avuto inizio tra il 1206 e il 1209, ad opera di Stefano II Nemanjić, figlio di Stefano Nemanja, il quale decise di erigere un luogo di spiritualità nella valle formata dalla confluenza dei fiumi Ibar e Morava occidentale, essendo una zona fertile e strategica per la comunicazione e il commercio, quale punto equidistante tra Bisanzio e Roma.
Al pari di altri complessi monastici, anch’esso subì attacchi e distruzioni, tra i quali ricordiamo l’incendio ad opera dei Tatari alla fine del 1200 e i danni subiti nel corso di ambedue i conflitti mondiali; ad oggi esso risulta perfettamente ricostruito e molto gradevole nell’aspetto, specie dopo la ricostruzione seguita al terremoto del 1987. Lo stile architettonico è quello tipico della Rascia, zona geografica serba, e vi si accede tramite una volta a sesto acuto sormontata da una torre che all’epoca fungeva anche da campanile, forse unico elemento superstite di un’antica cinta muraria, come da tradizione presso le abbazie medievali serbe.
Ad oggi il monastero è abitato da una comunità di monache, retta da una badessa, e al suo interno esse gestiscono gli aspetti pratici della struttura, la biblioteca, l’archivio, la pittura di icone e la produzione di succhi di frutta e di distillati che, venduti al pubblico, aiutano la sopravvivenza della comunità.
Dopo aver lasciato Niś ci apprestiamo a visitare i dintorni, tra cui il Bubanj Memorial Park, del quale vi avevo accennato nel precedente post, un complesso commemorativo della seconda guerra mondiale istituito in ricordo dell’esecuzione di oltre diecimila cittadini serbi.
Al sito si accede dopo una breve e piacevole passeggiata nel bosco, tant’è che noi ce la siamo fatta con le cagnoline, soprattutto visto che, contrariamente a quanto avviene nel nostro paese, il memoriale non prevede alcun divieto di accesso agli animali.
Lasciato il memoriale ci siamo recati alla Torre dei Teschi, interessantissima vista l’originalità del luogo, indubbiamente un po’ macabra, ma vale una visita: si tratta di una torre che incorpora dei teschi umani nella sua costruzione, fatta erigere dai turchi ottomani presso la città di Niś, che sorge sul sito della Battaglia di Ćegar, quale monito ai serbi volto a dissuaderli dal proseguire nella rivolta contro l’impero ottomano.
Come ultima tappa della giornata abbiamo visitato lo scavo archeologico di Costantino, a Medijana, un sito archeologico di epoca tardo romana situato nel sobborgo orientale della città di Niś; esso rappresenta quel che resta di una lussuosa residenza altamente organizzata, grazie alla presenza di una villa completa di peristilio, di terme, di un granaio e addirittura di una torre dell’acqua. Il sito sorge su una importante via commerciale della ex strada romana “via militaris” che collegava l’attuale Belgrado (allora Singidunum) a Sofia (Sedica) e Istanbul (Costantinopoli); la sua posizione ha fortemente condizionato il suo rapido sviluppo economico, in particolar modo nel IV secolo d.C., periodo in cui Naissus, attuale Niś, era una città imperiale prospera anche grazie alla fabbricazione di armi. Il sito porta in evidenza la vita dell’aristocrazia romana e della popolazione locale, tra ville di lusso, fienili, centri artigianali, oltre alle sopra citate terme, il tutto riccamente decorato con dei mosaici meravigliosi e tutt’ora ben conservati, alcuni con motivi geometrici e floreali, mentre ricordiamo uno raffigurante la testa di Medusa e un altro riportante la figura di una divinità fluviale (probabilmente Nettuno).
La delusione citata nel titolo, invece, riguarda Novi Pazar, cittadina esclusivamente islamica che detiene il primato di sede della più bella moschea di Serbia: avevo già letto delle recensioni in cui si citava la cattiva accoglienza dei suoi abitanti, cosa che purtroppo abbiamo avuto modo di confermare. Ci siamo ritrovati a dover transitare per il centro, strada obbligata per raggiungere il parcheggio, ma ci siamo sentiti non voluti, ostacolati, addirittura ci siamo beccati un urto (volontario) sullo specchio retrovisore, quindi ci abbiamo ragionato sopra, soprattutto alla luce del fatto che essendo accompagnati da due cani non avremmo avuto una bella accoglienza; ci è dispiaciuto perchè sarebbe stata una visita curiosa, tra moschee ovunque, il canto del muezzin e la vista su un cimitero a cielo aperto ricco di monumenti di arte islamica, insomma si trattava della nostra consueta curiosità verso una cultura diversa dalla nostra!
Quello di quest’anno è un viaggio che avevamo in programma da alcuni anni, ma poi tra problemi personali e i noti eventi che hanno attentato alla nostra libertà di circolazione abbiamo dovuto rivedere molti dei nostri obiettivi.
Quest’estate abbiamo deciso di provarci, organizzando bene tappa per tappa, tant’è che i due giorni trascorsi a Sofia sono stati il risultato di una casualità che ci ha regalato due giorni in più di ferie.
Abbiamo visitato tutto il paese percorrendolo a zigzag iniziando da Niś e incontrando una terra verdeggiante, lussureggiante e ricchissima d’ acqua, soprattutto grazie alla presenza quasi costante del Danubio o della Sava; i dolori sono iniziati a causa della scarsa cura che il popolo serbo ha del proprio paese, certamente una terra ferita da guerre e miseria, ma che meriterebbe un maggior rispetto. Il secondo dolore me lo ha causato la totale assenza di cultura animale: anche tralasciando la tradizionale alimentazione esclusivamente a base di grassissime carni di maiale, che mi ha creato non pochi problemi nella scelta dei pasti, il peggio è stato rappresentato ai miei occhi dal randagismo, da tante povere anime costrette ad una brutta fine… non vi nascondo che se il rientro in Croazia non fosse stato permeato da così tante difficoltà burocratiche saremmo rincasati con altri dieci cani a bordo, oltre ai nostri ovviamente.
Ma veniamo alla prima città incontrata entrando nel sud del paese: Niś, piccola e molto graziosa, centro amministrativo del distretto di Niśava, una delle città più antiche dei Balcani e all’epoca porta di passaggio tra Oriente ed Occidente, il cui nome in epoca romana fu Naissus, ovvero città delle ninfe. Parcheggiamo in un’area a pagamento (seguendomi vedrete tutte le soluzioni che ci siamo inventati visto che la Serbia non ha aree di sosta nè campeggi, a parte Belgrado), gestita da alcuni ragazzi carinissimi e di una gentilezza squisita, che ci hanno permesso anche di riempire la cisterna del camper, gratuitamente (e cento litri non sono pochi!), il cui affaccio sulla Niśava ci ha consentito di iniziare immediatamente a conoscere la città passeggiando sul lungofiume, tra ragazzi in canoa e anziani dediti alla pesca.
L’indomani, a pochi metri dal parcheggio, abbiamo attraversato la porta del bastione della Fortezza, chiamata Trdjava, di origine turca ottomana e risalente ai primi decenni del XVIII secolo, attualmente uno dei monumenti dei Balcani centrali meglio conservati risalenti a tale periodo, la cui struttura venne eretta sui resti di antiche fortezze romane, bizantine e medievali; nel corso del primo conflitto mondiale essa venne occupata dai bulgari che ne fecero una prigione dove vennero rinchiusi i patrioti serbi. Essa presenta una pianta poligonale, otto terrazzi bastionati e quattro porte, il tutto su ventidue ettari di terreno, quindi si tratta di un’area molto estesa, che oggi ospita un bellissimo parco ed è sede del Niś Film Festival; si tratta di un parco in leggera pendenza che ci ha permesso di fare una bellissima passeggiata in viali alberati, ombreggiati e ventilati, praticamente un regalo in una giornata tanto calda!
Lasciata la fortezza abbiamo passeggiato fino al campo di concentramento di Crveni Krst, all’epoca gestito dalla Gestapo a danno di ospiti serbi, ebrei e rom, catturati nel corso della seconda guerra mondiale, istituito a metà del 1941 ed utilizzato per la prigionia di trentacinquemila persone, per poi essere liberato dai partigiani jugoslavi nel corso del 1944. Si ritiene che in esso siano state uccise più di diecimila persone, mentre altre vennero fucilate sul monte Bubanj, che ad oggi ospita un museo commemorativo all’aperto e del quale vi parlerò nel prossimo post.
Da ultime abbiamo avuto modo di visitare due chiese ortodosse di una bellezza mozzafiato: Holy Archangels e Svete Trojice.
La prima si “nasconde” in un edificio che tutto si direbbe essere tranne una chiesa, tant’è che siamo stati squadrati da cima a fondo anche all’ingresso, quasi se l’aspetto anomalo dell’edificio volesse scoraggiare il visitatore e della quale non ho trovato molte notizie, quindi vi lascio solo qualche scatto di così tanta bellezza!
Lo stesso discorso vale per Svete Trojice, la cattedrale della Santa Trinità, in merito alla quale ho poche notizie ma l’interno è bello da togliere il fiato!
Domani vedremo i dintorni della città in quanto per visitare il centro ci è bastata comodamente una giornata, senza dover correre nè faticare troppo.
Oggi è il secondo giorno in cui siamo a Sofia ed avendo oramai visitato quasi tutto quanto ci interessava abbiamo deciso di godercela, decisione saggia visto il caldo devastante che ha messo in ginocchio pressoché tutti (vi ricordo che stiamo viaggiando con due cani, quindi le attenzioni sono doverosamente triplicate).
Per prima cosa ci siamo recati a visitare la chiesa di San Giorgio, incastonata all’interno del cortile della residenza presidenziale: si tratta di una chiesa a pianta circolare di epoca paleocristiana, costruita in laterizio rosso e si stima essere il più antico edificio della capitale. Essa fu eretta dai Romani nel IV secolo come struttura a base quadrata con cupola cilindrica, sul sito di un precedente tempio pagano, ed è famosa per gli affreschi al suo interno in quanto ve ne sono molteplici sovrapposti, il cui strato più antico risale al X secolo; alcuni furono cancellati durante la dominazione ottomana in quanto l’edificio venne adibito a moschea, ma nel XX secolo un massiccio restauro ha riportato la chiesa al suo splendore. Lasciata San Giorgio ci siamo fermati, essendo di strada, al Ponte delle Aquile, purtroppo oramai inglobato dall’arredo urbano: si tratta di un ponte ad arco che attraversa il torrente Perlovska e che costituisce un’intersezione a raso in un punto centrale e trafficatissimo. Il suo nome deriva dalle quattro figure bronzee poste sugli altrettanti obelischi che adornano le colonne del ponte, costituendone una simbolica protezione.
Lasciato anche il ponte ci siamo goduti appieno il centro cittadino, rinfrescandoci con della limonata a base di sciroppo di sambuco e con del succo di fragola misto a menta, acqua frizzante e agrumi, una delizia! Vi lascio un po’ di scatti e ci vediamo domani in Serbia.
Siamo stati di nuovo in giro, questa volta rigorosamente a bordo del nostro amato Chewbecca e con la compagnia di Bubu e Margot: destinazione Serbia. Ma… se ti avanzano tre giorni liberi vuoi non spingerti un po’ più in là per scoprire un paese nel quale non sei mai stato? E da qui alla decisione di raggiungere Sofia il passo è stato brevissimo, quindi, seppur con notevole ritardo, riordino le idee e vi porto con me in questo viaggio inusuale e lontano dalle rotte turistiche di massa.
La preparazione della documentazione sanitaria per i cani, richiesta dal necessario rientro in Croazia, è stato alquanto controverso e complesso viste le informazioni scarse e confuse che abbiamo ricevuto, per poi precipitarci ad effettuare la titolazione anticorpale, fortunatamente risolta in breve tempo grazie all’efficienza tutta austroungarica della mia città. Abbiamo attraversato tre frontiere e se già il passaggio da Croazia a Serbia non è stato proprio veloce, quello tra Serbia e Bulgaria è stato devastante con due ore ed un quarto inchiodati in terra di nessuno a causa dei controlli troppo serrati, il tutto dopo una raffica di rallentamenti dovuti ad incidenti perché, detto tra noi, i serbi guidano da cani e nel totale spregio delle regole.
Ma veniamo finalmente al paese che ci ha ospitati, il più povero dell’area Schengen, e a Sofia, la capitale: è un paese controverso, proiettato verso il futuro da una parte della popolazione e arenato in un’immobilismo arcaico da un’altra percentuale di cittadini, un po’ per l’atmosfera fortemente sovietica che ancora permea la realtà e che rende tutto molto decadente, almeno in periferia, e un po’ per la nutrita percentuale islamica, tenacemente incatenata alla propria tradizione, al limite del fanatismo, che non permette al futuro di trovare spazi di espansione.
Il centro di Sofia è bellissimo e ricco di potenzialità, ci accoglie con la statua di Santa Sofia, per poi farci scoprire la cattedrale (una delle due) di Sveti Nedelja, chiesa ortodossa la cui struttura originale risale al X secolo, dalla base in pietra e pareti lignee, poi eletta a cattedrale nel XVIII secolo, e nuovamente eretta dopo aver smontato la struttura in legno nel 1856, questa volta in pietra; purtroppo due anni dopo un terremoto provocò all’edificio dei danni tale da prorogare la costruzione fino alla fine del 1863 ed avere finalmente la consacrazione nel 1867. Successivamente vennero aggiunti il campanile, nel 1879, e a cupola, nel 1898; tuttavia la chiesa subì ulteriori danni nel 1925 a seguito di un attentato e venne riconsacrata nel 1933. Il risultato di così tanti interventi di restauro lo possiamo vedere nello splendore attuale dell’edificio, riccamente decorato come da tradizione ortodossa eppure mai appesantito da eccessiva opulenza.
Un vero spettacolo è stata la visita a San Nikolaj, una piccola chiesa russa ortodossa con degli esterni spettacolari e degli interni non da meno, purtroppo anche qui le foto sono state rubacchiate, comunque si tratta di un edificio sorto sulle macerie della moschea Saray, distrutta nel 1882 dopo la liberazione della Bulgaria dall’Impero Ottomano. Essa venne progettata dall’architetto russo Mikhail Preobrazhenski e venne intitolata al santo patrono di Nikolaj II di Russia, allora al comando della nazione.
Nel corso degli scavi per l’attuale metropolitana sono stati rinvenuti dei resti romani, poi riportati alla luce e liberamente visitabili a testimonianza dell’antica Serdica, nome di Sofia all’epoca dei Traci, probabilmente derivato dal nome celtico della tribù dei Serdi.
Dopo la pausa pranzo abbiamo avuto modo di visitare la Cattedrale di Alexandr Nevskij, anch’essa ortodossa, costruita in stile neo bizantino, la seconda per grandezza di tutta la penisola balcanica, seconda solo a quella di San Sava a Belgrado. L’interno è in stile italiano, ricco di alabastro, bellissimo nonostante vi possa mostrare solo poche foto rubate, come di consueto; essa è stata intitolata al principe russo Aleksandr Nevskij in quanto eretta per commemorare la morte di duecentomila soldati russi caduti nel corso della guerra russo turca del 1877-78, al termine della quale la Bulgaria ottenne l’indipendenza. Nel corso della prima guerra mondiale il Regno di Bulgaria dichiarò guerra alla Russia, il che portò a cambiare il nome dell’edificio intitolandolo ai Santi Cirillo e Metodio, per poi riprendere la denominazione originale nel 1920.
L’ultima tappa l’abbiamo riservata alla chiesa di Santa Sofia, la seconda più antica di Sofia, risalente al IV-VI secolo, e che cambiò il nome alla città da Sardica all’attuale Sofia. Anch’essa venne edificata sul sito di diverse chiese precedenti ed addirittura sui resti di un teatro romano; la chiesa attuale risale al regno di Giustiniano I, quindi al VI secolo, seppure negli anni convertita in moschea e nuovamente restaurata dopo il 1900.
La moschea di Banya-Bashi merita un capitolo a parte: stupenda, assolutamente meravigliosa. Ma… iniziamo da principio: come ben sapete, se avete letto della mia esperienza egiziana con l’Islam, ho riscontrato un enorme rispetto, cosa che qui mi ha letteralmente schifata. Mi sono presentata all’ingresso seguendo le regole indicate, coprendomi il capo, togliendomi le scarpe, sono entrata con il massimo rispetto ed educazione ma, al suo interno, ho rinvenuto fedeli che bivaccavano, che dormivano, alcuni che strillavano in viva vice al cellulare, alcune turiste in shorts inguinali ma il cretino integralista di turno mi ha presa di mira rincorrendomi con una pezzetta per farmi coprire le ginocchia e gridando all’orrore. Ho scattato le foto e me ne sono andata, fine della storia, avendo avuto l’ennesima dimostrazione che i problemi non li creano le religioni ma l’ignoranza umana.
Prima di rientrare al camper abbiamo approfittato per un giro al Mercato delle Donne, fondato nel XIX secolo, ricco di prodotti agricoli profumatissimi, alcuni punti di ristoro ed alcuni stand di merci importati: vi dico solo che un chilo di fichi strepitosi l’abbiamo pagato un euro e settantacinque!
Oramai siamo abbastanza stanchi, complice il caldo devastante, quindi rientriamo alla base e ci vediamo alla prossima tappa!