
“A volte il cielo era bello, ma io amavo il vento, la pioggia, le nuvole. La pioggia mi incollava i capelli sulla fronte, nel collo, negli occhi. Il vento mi asciugava i capelli, mi carezzava il viso”.
Dopo aver letto “Trilogia della città di K.” sono rimasta molto colpita dalla scrittura asciutta, decadente e graffiante di Agota Kristof, autrice ungherese naturalizzata svizzera, nata a metà degli anni trenta e che ha scritto quasi esclusivamente in francese, autodefinendosi una “analfabeta” non essendo in grado di padroneggiare alla perfezione la lingua di adozione.
Qui siamo di fronte ad un libro di nemmeno cento pagine ma che cattura il lettore dopo poche righe: conosciamo Tobias Horvath, un emigrato che sta affogando nella noia costante di una vita abitudinaria, nella ripetizione di una gestualità volta esclusivamente alla mera sopravvivenza, dal lavoro noiosissimo e ripetitivo, alla miseria incalzante che però risulta essere meglio di ciò che si è lasciato alle spalle.
Nato poverissimo in “un villaggio senza nome, in un paese senza importanza”, trascorre l’infanzia sotto l’ombra della vergogna di una madre mendicante, ladra e prostituta, di una madre che non ce la fa e che raccoglie gli scarti della società per sfamare e vestire il figlio. Tobias rimane l’unico figlio della donna, quello che sopravvive a rapporti occasionali della madre e, probabilmente, a qualche interruzione di gravidanza e tra gli uomini che entrano ed escono da casa e dal letto della madre, scopre chi è il suo vero padre.
Dopo aver tentato di porre in atto l’omicidio dei due fedifraghi egli fugge inventandosi una nuova vita da orfano, rifugiandosi nella scrittura e nella idealizzazione di Line, la donna immaginaria dei suoi sogni. Line un giorno lo raggiungerà nelle vesti della sua sorellastra, pur se inconsapevole di esserlo, dando origine ad un amore impossibile che non supererà mai il divario socioeconomico dei due, generando emozioni e dolore in Tobias.
Sono poche pagine, solo novantanove più poche righe di epilogo, ma intrise di attesa, di emozioni, di dolore e di accettazione, forse l’unica soluzione alla vita irrisolta del protagonista.
Lo si legge in un pomeriggio ma merita tanto.
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