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Cibo per la mente

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“Una vita come tante “ di Hanya Yanagihara

Di questo libro se ne sono dette tante, che si tratta di un romanzo sconvolgente, che abbia portato al pianto chiunque lo abbia letto, che sia drammatico, a tratti straziante, ma anche che sia un libro sull’omosessualità, sull’amicizia e sul dolore.

Procediamo con calma e analizziamo quello che, a parer mio, è un gran bel libro, lunghissimo visto che supera le mille pagine, ma che scorre come acqua fresca: l’autrice è stata bravissima in quanto dalle prime pagine ci fa intendere si tratti di un romanzo incentrato sulla leggerezza dell’amicizia tra Willem, aspirante attore, Malcom, futuro architetto, J.B., improntato alla carriera artistica, e Jude, spietato avvocato in erba… tuttavia ben presto l’attenzione verrà spostata solo sulla figura di quest’ultimo e sulle dolorose vicende che lo hanno accompagnato sin dalla più tenera età.

Tuttavia anche i dolori che hanno segnato l’esistenza di Jude vengono snocciolati un po’ alla volta, con molta parsimonia, in maniera tale da indurre il lettore a proseguire la lettura, un capitolo dopo l’altro e nonostante la lunghezza notevole di ciascuno di essi, per cercare di comprendere la psiche di quello che oramai si è compreso essere il protagonista.

Non è nemmeno un romanzo sull’omosessualità in quanto abbiamo a che fare con un personaggio etero che dà più spazio a ciò che prova per Jude, a costo di subire un’etichetta di omosessualità che potrebbe anche mettere a repentaglio una carriera faticosamente costruita, mentre dall’altra parte abbiamo Jude, assolutamente non in grado di provare nulla più di quanto abbia appreso in seguito a quanto gli è stato inflitto dal genere maschile . Del resto Jude è il peggior nemico di se stesso, dipendente dall’autolesionismo e, successivamente, dall’amore verso chi si prenderà cura di lui in età adulta.

Non è neanche un romanzo sul dolore, ma sulla coesistenza con esso, sul toccare il fondo quando la solitudine si unisce al bruciore della perdita, quando la disperazione toglie il fiato, quando si superano gli atti di autolesionismo facendosi ancora più male e precipitando verso il punto di non ritorno.

C’è chi ha pianto molto, specie leggendo gli ultimi due capitoli, il che mi ha portata ad avere un’aspettativa diversa da quanto realizzatosi, soprattutto in virtù del fatto che io sia una persona dalla lacrima facile… e invece no, nulla, assolutamente nessuna reazione emotiva tranne l’apprezzamento per un libro veramente molto bello, che ho voluto leggere, che ho cercato a lungo ad un prezzo decente e che però ho già rivenduto nonostante mi sia stato riferito che per lungo tempo tende a rimanere nel cuore.

Si tratta comunque di una lettura che proporrei assolutamente, la cui trama non ho voluto snoccciolare in questo post perché sarebbe stato un vero peccato: è da leggere, è delicato, privo di volgarità, è intriso di dolcezza e sono certa non ve ne pentirete! Buona lettura 🧡

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“La nona casa” di Leigh Bardugo

Questo è un momento in cui cerco di leggere quanto più mi sia possibile, organizzandomi il poco tempo che ho al meglio, per soddisfare questo desiderio pressante di accoccolarmi con un libro tra le mani.

Sicuramente l’aver cambiato la libreria, il che ha comportato il doverla vuotare completamente, ha smosso quella voglia di eliminare alcuni romanzi e di acquistarne di nuovi, da affiancare a quelli già presenti nel mio lettore Kindle, ma soprattutto con la voglia di esplorare nuovi generi narrativi.

“La nona casa” è un fantasy per adulti che si poggia su un contesto realmente esistente ed è proprio grazie all’innesto su una realtà presente che l’impianto narrativo funziona bene: Yale esiste realmente e presenta i propri riferimenti geografici che, almeno nel nostro immaginario, hanno una percezione che rende credibile la narrazione.

Tuttavia l’autrice ha avuto la bravura di creare, al di sopra e parallelamente al contesto reale, un universo magico in cui l’invenzione ci conduce nella magia, in cui veniamo accompagnati un passo alla volta, permettendoci di comprendere alcuni passaggi non scontati, da Galaxy, detta Alex, anch’essa neofita del campus, ma soprattutto della magia che vi aleggia.

Alex arriva al campus grazie ad una borsa di studio che la salva da una vita pericolosa e decadente, che le offre quindi una possibilità di redenzione in cambio dell’aiuto che può offrire grazie alla propria capacità di entrare in contatto con le anime, punto centrale che si inizia a comprendere nel momento in cui si fa riferimento alle attività propiziatorie degli Aruspici, nonostante non si tratti di un passaggio molto chiaro, a meno che non lo si abbia appreso grazie a degli studi precedenti.

Sempre rimanendo sul piano della dicotomia realtà e finzione, si ricorda che le otto case, la cui ultima (la nona) casa è proprio la Lethe, sede alla quale è assegnata Alex, in realtà a Yale esistono e non sono altro che otto delle società segrete dell’ateneo e che qui vengono tramutate in potenti nodi magici in mano a soggetti ricchi e potenti con la pretesa di decidere le sorti del mondo.

La narrazione è arricchita dalla ricerca della verità in merito ad un delitto, che alla fine si infittisce di mistero grazie a magia, spettri, trucchi e segreti e che, nell’arrivare ad una soluzione, stende la trama per la risoluzione del secondo caso, alla sparizione nel nulla di Darlington, mentore di Alex e che ci accompagna al secondo volume.

Ma nel frattempo leggete questo, rilassandovi pur se con attenzione perché i salti continui dalla realtà alla magia non sono proprio sempre così scontati, c’è un continuo lavoro di equilibrismo che non consente distrazioni!

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“Sirene” di Laura Pugno

Questo è un breve romanzo distopico, post apocalittico, che vede, quali indiscusse protagoniste, le sirene, affascinanti creature descritte con terminologia da biologi, sia in merito al loro aspetto che relativamente ai comportamenti; in queste poche pagine sono contrapposte, nella loro purezza, alla bestialità umana, alla schiavitù delle passioni che contraddistingue l’uomo che, in questa narrazione, vive oramai in un mondo distrutto dalla ferocia della luce del sole e condannato alla morte in caso di esposizione alla stessa.

È un romanzo feroce, cattivo, graffiante, centotrentaquattro pagine di miseria umana, di prevaricazione, di tradimento, ma che dimostra come l’essere umano, nel perseguire la soddisfazione dei propri egoismi, sia destinato all’autodistruzione, senza possibilità di redenzione alcuna, mentre alle sirene, nella propria purezza, venga offerta una via di fuga e la speranza di una nuova vita.

Il romanzo si incentra sulle figure di Samuel, sorvegliante di una vasca di sirene, e di Mia, essere mezzosangue nato dall’unione del primo con una delle sirene sorvegliate e che, pur mantenendo i tratti distintivi ittici, assume alcuni aspetti genetici umani, dando quindi origine ad una nuova razza, quale una sorta di passaggio del testimone ad un’altra razza, ad una diversa intelligenza alla quale affidare la gestione del mondo, una sorta di “fuga dall’uomo “.

Il finale è assolutamente espiatorio e rappresentativo delle inevitabili sorti destinate alla miseria umana.

Si legge facilmente, in maniera scorrevole nonostante per qualcuno possa essere un pugno nello stomaco, ma merita di essere preso in considerazione!

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“Gli sdraiati” di Michele Serra

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Tra un libro impegnativo ed una sfornata di biscotti, mentre preparo contenuti “alimentari” come da tempo non ne vedete mi sono approcciata a questo volumetto, un po’ per curiosità e un po’ per rilassarmi. Ancora non so se parlarne bene o sentirmi un po’ presa in giro per la quasi banalità, io comunque ve lo propongo con obiettività in maniera tale che possiate trarne le vostre conclusioni.

Premetto che l’autore sa scrivere dannatamente bene e penso questo sia il pregio del libro, che alla fine io ho letto in una giornata, il cui fulcro è il rapporto tra autorità ed autorevolezza, analizzato da quello che si definisce un “dopopadre”, un padre che nel difficile rapporto con il figlio prova un senso di fallimento.

I figli sono gli sdraiati, perennemente spalmati su un divano tra testi scolastici, videogiochi, cuffiette alle orecchie, sigarette, merende, briciole, trascuratezza e abiti sformati, quelli che i padri non comprendono e che, nel caso di specie, non solo non interagiscono con la figura genitoriale ma che, pur invitati a partecipare ad un’attività in condivisione ne rifiutano anche il solo pensiero.

Infatti i capitoli sono intervallati dalle richieste, sempre più pressanti, del genitore per la condivisione di una salita al monte Nasca, con un’urgenza che rasenta la supplica, una metafora che solo alla fine ne chiarirà lo scopo.

Di fatto è la narrazione di un divario generazionale incentrato sull’involuzione della specie contrapposta alla possibile evoluzione della società futura, la cui voce narrante è quella di un padre che, sotto il peso del fallimento, cerca un punto di incontro con il figlio, un dialogo che stenta a decollare nonostante gli sforzi del genitore.

I tratti distintivi e comuni di una generazione vengono tratteggiati con ironia e sagacia, si sorride spesso e, se il lettore ha esperienza genitoriale con la citata fascia di età, può comprendere al meglio la problematica esposta e sentirsi meno solo; detto questo la tematica non è assolutamente noiosa bensì attuale, c’è chi ha demolito queste poche pagine forse a causa di un monologo che può annoiare, mentre io l’ho apprezzato per lo stile ironico, intelligente, per la disamina feroce e graffiante di un gap generazionale forse più profondo di quelli precedenti.

Alla fine, dopo una tirata critica e priva di speranza in merito alla generazione millenial qualcosa accade e si termina l’ultima pagina con il sorriso.

Lo consiglio? Non lo so in merito alla tematica (che io ho brillantemente e faticosamente superato da qualche anno), per quanto concerne la scrittura però è un sì pieno!

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“L’eco lontana delle onde del nord” di Corina Bomann

Immagine tratta dal web

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In quel momento mi accorsi che dietro il rivestimento c’era qualcosa. Era un pezzetto di carta ripiegato più volte: una lettera, scritta con calligrafia convulsa. L’inchiostro era sbiadito, le macchie di umidità avevano cancellato alcune parole. Ebbi una fitta al cuore.

«Quella barca l’ha comprata un tizio della Germania Est» disse. «Ne è passato di tempo, qualche anno dopo la riunificazione.»
«Sì, ma ora è mia» gli spiegai, fingendo di non essermi accorta del lieve disprezzo con cui aveva pronunciato le parole “un tizio della Germania Est”.

Nuovamente ho scelto un libro in base all’ambientazione, grazie al mare che in me crea sempre un’attrazione magnetica, qualunque ne sia la latitudine: qui ci affacciamo sulle coste del Baltico e l’ambientazione si srotola tra Amburgo, Rügen e Sassnitz, luoghi meravigliosi della Germania del nord, di un fascino terribile, sferzati dai venti gelidi marini eppure in grado di regalare, durante la bella stagione, un sole inaspettato.

Qui incontriamo Annabel che, con la compagnia della dolcissima figlia Leonie, sta cercando di ricostruirsi una vita dopo un periodo lacerato dai dolori di un passato mai dimenticato e di un matrimonio fallito miseramente e proprio nel momento in cui mette nuove radici le cose sembrano cambiare completamente, iniziando a volgere per il meglio; il tutto parte dalla “Rosa delle tempeste”, imbarcazione male in arnese che nel corso della sua lunga vita è stata utilizzata quale peschereccio, quale dragamine ma, soprattutto, per aiutare nella fuga i tedeschi della DDR verso il benestante Ovest e verso la libertà.

Alla base della vita di Annabel c’è una storia ancora non chiarita legata agli eventi precedenti la caduta del muro e continuamente si imbatte in episodi ancorati alla situazione politica dell’epoca che ha segnato tutti coloro i quali rivestono una posizione significativa nel testo: da Christian, che diverrà suo socio in affari nell’acquisto dell’imbarcazione, al gestore di uno dei principali alberghi della zona, all’ex capitano della “Rosa delle tempeste”, tutti indissolubilmente legati alle violenze perpetrate dalla Stasi nell’epoca antecedente l’unificazione tedesca.

I tratti storici sono appena delineati, tuttavia nell’armonia di un romanzo scorrevole e arioso è chiaro l’atteggiamento repressivo e i relativi danni causati dall’operato del MfS (Ministerium für Staatssicherheit, comunemente conosciuto quale Stasi), a prescindere da valutazioni ideologiche o politicizzate che qui non trovano fortunatamente spazio: è un romanzo, fine a se stesso, ma che trova fondamento in ciò che ha veramente rappresentato per il popolo tedesco un periodo buio della storia e che magari il lettore può avere l’occasione di approfondire un po’ per propria cultura personale.

Colpisce come, tra le pagine, l’autrice abbia voluto evidenziare una sorta di emarginazione e di atteggiamento sprezzante, da parte degli abitanti tedeschi dell’ovest, rispetto a quelli dell’ex Germania filosovietica, quali fossero dei diversi, degli emarginati a causa della loro povertà.

In queste pagine c’è lo spazio per il riscatto, per un equilibrio ritrovato, per la volontà di rinascita, per il perdono, per la volontà di abbandonare il rancore a favore di una giustizia dei sentimenti pur senza dimenticare ciò che è stato e i torti subiti, le vite rovinate e perdute.

Ancora una volta ho scelto un romanzo dei sentimenti, senza un vuoto dietro ma con un’ambientazione ben precisa e radicata nella storia dei popoli, raccontata in modo non pesante ma efficace e situata in un contesto geografico affascinante, un’opera in cui alla fine la vera protagonista è la “Rosa delle tempeste”, ma in cui l’elemento umano è evidente nella prosa pacata narrante i sentimenti in maniera molto intima e privata pur nella loro devastante potenza.

 

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“Una casa sul mare del nord” di Nina George

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Non è mai troppo tardi, mai, nemmeno un’ora prima del nulla.

Avevo già incontrato, sulla mia strada di lettrice vorace, questa autrice con “Una piccola libreria a Parigi”, ma ero rimasta un po’ interdetta dal suo stile un po’ strano, forse per i miei gusti troppo confuso, diverso da ciò cui sono abituata di solito… invece con questa seconda lettura forse ho iniziato a comprenderla meglio perché le sue frasi talora rimangono con il senso sospeso nel vento, cariche di una poesia che caratterizza ogni riga che esca dalla sua penna, ricche di una delicatezza cui forse non sono avvezza.

Qui si narra il ritorno alla vita di Marianne, il suo ritrovare la strada dopo aver cercato la morte, il suo anelito profondo di esistere e di rinascere dopo aver toccato il fondo più cupo della propria spersonalizzazione, vittima dell’indifferenza di un marito che l’ha annullata in ogni sfumatura della sua personalità.

Marianne è tedesca e inizia il suo viaggio verso la vita proprio dalla ricerca della morte, sopravvissuta ad un tuffo da Pont Neuf e salvata dalle gelide acque della Senna da un clochard gentile e premuroso, ma ben presto da Parigi si trova in Bretagna e lì esplode tutto il suo bisogno di riscatto, la sua rivendicazione dei sentimenti sopiti ed annullati, schiacciati dalla personalità egoista di un uomo sbagliato e fedifrago che ben presto si mette sulle sue tracce per trovare dinanzi a sé una donna cambiata, una donna che a sessant’anni si è innamorata, che ha avuto il coraggio di rimettere in discussione tutta se stessa grazie alla generosità degli abitanti del meraviglioso paese sull’oceano cui è approdata seguendo una tegola dipinta che lo rappresentava.

Ed è proprio all’autore di quella tegola che lei arriva, riconoscendolo subito come la sua perfetta metà, lontano anni luce dalla pochezza della vita che ha lasciato a casa e che, nonostante i mille dubbi e i sensi di colpa che l’attanagliano, continua ad attenderla con amore, dedizione e pazienza.

Marianne è una donna che diventa molto bella, a tratti speciale, quasi una maga che solo al contatto con gli altri ne riesce a captare i pensieri più intimi, che riesce ad entrare negli anfratti dell’animo umano, che la notte si siede sulla spiaggia e suona alla luna, che nella notte di Samhain può sentire il mondo dei morti che si congiunge a quello dei vivi… ed è grazie al suo istinto che riesce alla fine a scegliere la strada giusta, quella che porta alla sua felicità e a quella dei paesani che l’hanno amata da subito, all’amore di Yann e al ricordo dolcissimo di Sidonie, al cuore di tutti gli altri abitanti di Kerdruc che generosamente le hanno insegnato la lingua bretone e tutte le tradizioni pagane che costantemente arricchiscono le pagine di questo libro dolcissimo e poetico.

E’ un testo delicatissimo, ben scritto nonostante (a mio avviso) un errore di traduzione nelle prime pagine che mi ha confuso un po’ le idee, è un libro da leggere perché è un inno alla vita, alla volontà di trovarvi quanto di più bello vi possa essere in qualsiasi situazione, è poesia pura, delicatezza, comprensione delle debolezze umane, perdono e tanto tanto amore.

 

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“Il sentiero dei profumi” di Cristina Caboni

il sentiero

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A differenza delle parole, gli odori arrivano dritti ai sensi delle persone. E’ l’olfatto il primo dei sensi in assoluto, perchè si annida negli oscuri recessi dell’anima primordiale e reagisce alle sollecitazioni secondo una serie di archetipi olfattivi nati con l’uomo. E’ emozione pura.

Dopo la lettura de “La custode del miele e delle api” sono ritornata sulle pagine della stessa autrice, incantata dalla sua delicatezza nel trattare i sentimenti e nel delineare il carattere dei personaggi, questa volta inizialmente con più fatica, probabilmente a causa delle condizioni fisiche non ancora ottimali che mi stanno costringendo ad un riposo forzato e che mi stanno innervosendo non poco.

Spesso ho trascorso ore in ascolto della mia musica preferita e rilassante come questa, ma alla fine mi sono rimessa in riga affrontando seriamente la lettura (per chi ancora  non mi conosce abbastanza, quando mi immergo nelle note non connetto più), che comunque nelle prime pagine, a parer mio, scorre in maniera confusa.

Attraversati i primi capitoli ci si ritrova in un romanzo bellissimo, scritto bene e con la consueta delicatezza che contraddistingue questa autrice, in un’atmosfera anomala in cui sono i profumi a condurci per mano in un mondo inesplorato fatto di aromi che si fondono con l’anima.

Le prime pagine partono da un antico laboratorio di Firenze, ma bel presto la storia si dipanerà lungo le strade di Parigi, nei vicoli del Marais, dove Elena, la protagonista, sarà finalmente in grado di riaprirsi alle emozioni, da troppo tempo sopite e volutamente ignorate, semplicemente seguendo un percorso olfattivo tra l’aroma delle rose, del neroli, del bergamotto e del vetiver, lasciando che pian piano il suo cuore si riscaldi tornando alla vita poichè, come per i profumi, l’aroma si sprigiona dando il meglio di sè solo quando il seme viene riscaldato….

Tra le pagine si legge spesso che i profumi costituiscono un sentiero e che solo percorrendolo si potrà arrivare alla piena consapevolezza di sè e di quello che per noi stessi è il profumo perfetto, si apprende che ogni sentimento ha un proprio odore, c’è l’aroma della rabbia, della paura, della felicità… ed Elena riesce a captare queste sfumature nelle persone che ha davanti e proprio grazie a questo dono riesce a comprendere al meglio i sentimenti altrui, ponendosi dinanzi chi la circonda con estrema gentilezza e sensibilità.

Mi ha attratta moltissimo l’argomento trattato poichè, come riportato nella frase di apertura (tratta dalle pagine del libro), i profumi entrano nei recessi dell’animo umano e spesso un aroma mi riporta all’infanzia con una puntualità che nessun altro ricordo può, con una prepotenza che ha dell’incredibile; è vero che il profumo è la prima memoria storica di un individuo, si stampa nella mente e non se ne va più, altrimenti non potrei ancora oggi associare il profumo dell’origano e della maggiorana al ricordo della mia nonna e dell’orto sotto il sole cocente dell’estate, quando l’aria era immobile e si sentiva solo il ronzio degli insetti all’ora di punta.

Posso dire onestamente che questa lunga disquisizione sulle qualità olfattive mi ha rapita in quanto da sempre incantata dagli olii essenziali, dall’aroma dei fiori, dalle profumazioni naturali e non di sintesi, dall’alchimia degli antichi laboratori e dalle relative lavorazioni artigianali, ma soprattutto questo è un bellissimo romanzo sulle insicurezze dell’animo umano e sulle capacità dell’individuo di affrontarle e di superarle.

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“Il mare è sempre lì che ti guarda” di Emiliana Erriquez

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Lo so, vi avevo promesso un ritorno in cucina dopo il primo post dell’anno, ma non posso farcela a causa di un mal di schiena intenso ed acutissimo che non mi dà tregua da quasi una settimana: sono bloccata sul divano e non riesco nemmeno a sollevarmi, neanche a preparare un piatto di pasta e tutto il lavoro di casa tocca ai miei uomini.

In compenso sto dando fondo alla marea di libri presenti sul Kindle, che lavora come un somarello da una giornata all’altra, pertanto ho pensato di stare un po’ con voi almeno nell’angolino della lettura… forse ce la faccio  a farvi una tazza di the, ma i biscottini li portate voi, vero?

Come spesso mi accade sono sono stata attirata dalla presenza del mare nel titolo e chi mi conosce oramai lo sa quanto io abbia il mare nel cuore e di come l’acqua mi attiri sempre in qualsiasi contesto, ma alla fine il libro non ha tradito le mie aspettative, ad iniziare dallo splendido panorama di Ostuni, la città bianca che fa da sfondo alla vita di Barbara e Chiara, amiche dall’età di sei anni e che insieme vivono tutta l’infanzia e l’adolescenza, per arrivare insieme all’età adulta nel corso della quale inizieranno gli scossoni emotivi a seguito di rapporti sentimentali sbagliati.

Dopo molti mesi le due amiche si ritroveranno e analizzeranno insieme gli errori commessi, con la promessa di non separarsi mai  più e da questo punto di snoderanno tutti i dolori della vita coniugale di Barbara, il rapporto incantevole di Chiara con il proprio compagno, la nascita del frutto del loro amore, l’immenso dolore che alla fine interromperà il rapporto tra le due amiche, ma non la loro amicizia immortale.

E’ un libro sull’amicizia, quella squisitamente femminile tanto rara da trovare, lontana anni luce da invidie e meschinità, l’amicizia tra due persone che si sviluppa negli anni, trovandole prima bambine, poi adolescenti ed infine donne, con tutti i loro drammi mentre il mare è sempre lì immobile ad osservarle…

A tratti graffiante e doloroso, spesso provoca un groppo che si ferma in gola, ma scritto in maniera molto scorrevole seppur privo di raffinate figure retoriche quali metafore o iperboli che possono allietare romanzi più sofisticati, eppure entra nell’anima, lo si divora in un fiato e si corre fino alla fine, quando ci si ritrova con una lacrima ancora che scorre sul viso e gli occhi gonfi di pianto dinanzi all’ultimo dono, preziosissimo, lasciato da Chiara a Barbara.

Autoproduzione/ Letture

“La custode del miele e delle api” di Cristina Caboni

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Ho perso la strada.
Ma l’erica mi dona coraggio.
Con l’acacia ritrovo la forza.
Perché il miele è la mia casa.

Molte bloggers lo conoscono già molto bene, vista l’iniziativa legata al libro risalente allo scorso settembre, che io ovviamente mi sono persa in quanto ero all’estero priva di connessione wifi, ma la tentazione è stata talmente tanta che alla fine ho preso l’ebook, senza assolutamente pentirmene.

Mi sono quindi imbattuta in una lettura diversa dal solito, molto delicata e poetica, la cui protagonista è Angelica che, sin da quand’era una bambina, ha un rapporto speciale con le api, tant’è che ne ha fatto una professione itinerante in quanto viaggia ovunque con il proprio camper al fine di dispensare consigli agli apicoltori: in sua compagnia le api danzano perché lei le rispetta, mai ha prelevato più miele di quello che avanza all’alveare per la propria sopravvivenza, lei modula un canto e le api la seguono con una poesia ammaliante.

La meraviglia di quest’opera risiede nei riti antichi, nei luoghi intatti  dell’infanzia di Angelica, del contatto costante con il mare e della sua perseveranza nel difendere a tutti i costi la natura incontaminata dalla speculazione edilizia: lei sa opporsi con tutta l’anima al potere del denaro, essendo in grado di vivere solo grazie ai regali che le api le forniscono periodicamente, e alla fine trova sostegno proprio in Nicola, amore del passato mai dimenticato nonostante le loro vite abbiano preso delle strade divergenti ma che, inizialmente, sembra invischiato nei torbidi interessi finanziari e speculativi del fratello.

Nicola prende le distanze da tutto ciò, difendendo a spada tratta Angelica e il suo amore per l’ambiente, per le api, per l’origine di tanta bellezza che ammanta l’isola sarda in cui il romanzo è ambientato, perché capisce la passione della donna che ancora ama, perché comprende la poesia della natura che li circonda… ed è grazie alla sua caparbietà che l’ecosistema non subirà alcun danno lasciando le api al loro posto e il cuore di Angelica sereno.

La storia narrata è particolare, diversa dalle solite banali trame stereotipate, le parole dell’autrice scorrono dolcemente e con tanta poesia come solo una donna sarebbe in grado di fare, è un romanzo femminile a tutto tondo, ma ciò che più mi ha colpita è stato il rapporto ancestrale che si sviluppa tra la protagonista e i ritmi della natura, nonché la descrizione stessa dell’ambiente, di una magnifica terra bagnata dal mare; è un libro che profuma davvero di cera e di miele poiché la descrizione è talmente intensa da sentirne l’aroma tra le pagine e per rendere al meglio quanto potente sia la forza della natura ci vengono lasciate anche alcune ricette a base di miele e di cera d’api.

Già all’epoca avevo proposto queste preparazioni, ma ora ho voluto approfondire con una delle ricette proposte in calce al libro… visto che quale foodblogger non ho potuto partecipare all’iniziativa legata al romanzo, ho voluto interpretare in maniera un po’ diversa l’accostamento a quest’opera così bella.

Di solito sul viso uso solo una goccia di olio extravergine di oliva e devo ammettere che è meglio di qualsiasi crema vi sia in commercio: è adatto ad ogni tipo di pelle, anche tendente al grasso, perché riequilibra alla perfezione il suo aspetto; lo uso anche sul corpo, sui capelli… potevo non essere attirata da questa ricetta?

Crema per il viso (io ho raddoppiato tutte le dosi):

un cucchiaio di cera d’api purissima

un cucchiaino di miele (ho usato il millefiori)

qualche goccia di olio vegetale (ho usato l’extra vergine di oliva)

Procedimento:

sciogliere la cera a bagnomaria e poi aggiungere il miele e l’olio.

Crema per il viso

Naturalmente ho provato anche questa crema per le mani (raddoppiando anche qui le dosi), sempre in alternativa alla mia solita autoprodotta:

un cucchiaino di cera d’api

qualche goccia di miele (sempre millefiori)

un cucchiaio di olio extravergine di oliva

due gocce di olio essenziale di limone (che avevo terminato, quindi ho usato l”arancio amaro che con il millefiori si sposa alla perfezione)

Procedimento:

sciogliere la cera a bagnomaria e poi aggiungere il miele, l’olio e, da ultimo, l’olio essenziale.

Crema per le mani: uno scatto al volo prima che solidificasse perchè il giallo oro è splendido!

 

In questa nebbiosa giornata grigia la luce era pochissima per avere delle belle foto, ma il colore della cera e del miele è riuscito a dare un po’ di calore e a regalare un raggio di sole….

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“Splendore” di Margaret Mazzantini

Immagine tratta dal web

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“Tutte le relazioni d’amore nascono da una mancanza, ci immoliamo a qualcuno che semplicemente sa accomodarsi in questo spazio aperto e dolorante per farne quello che vuole: farci del bene oppure distruggerci. Nelle relazioni omosessuali questa mancanza è sterminata, forse insanabile”.

Da tempo il titolo soggiornava nella memoria del mio Kindle e alla fine passavo oltre, temendo un libro impegnativo e preferendo romanzi leggeri, soft, trame da commedia o tinte di note rosa, quasi questo periodo fosse un prolungamento dell’estate in cui sono stata accompagnata dai cosiddetti “libri da spiaggia”.

Poi ho deciso, sapendo che “se non ce la faccio lo metto da parte per un periodo più propizio”, ho iniziato le prime righe, poi ho terminato la pagina e ne ho letta un’altra, al che mi sono detta che questa donna scrive davvero bene, con una lirica non di poco conto, ho proseguito finchè i suoi tratti di penna sono diventati entusiasmo puro, videata dopo videata, senza mollare se non a notte inoltrata, con due occhi gonfi di sonno l’indomani in ufficio ma accompagnati dal bisogno di ritornare a leggere, di farmi cullare ancora da tanta poesia.

Forse è un libro attuale, probabilmente anche furbo visto l’argomento che ne è oggetto, ma è intriso di un dolore graffiante, quello del rapporto tra Guido e Costantino, un rapporto di amore e odio sin dall’infanzia, vissuta in un condominio romano degli anni settanta, in una città al tempo stesso sontuosa e decadente, un rapporto tra due ragazzi così diversi: Guido nasce da una famiglia della piccola borghesia, da due genitori assenti ed incapaci di dimostrare l’amore che li lega al figlio, accudito da donne straniere che vanno e che vengono, che in lui provocano un costante estraniarsi dalla vita e dalla gioia; Costantino è il figlio del portiere e vive nell’umiltà del seminterrato, tra la puzza di cavolo e di umidità, ma negli occhi ha una bontà liquida che piano piano conquista Guido, che lo porta anche all’odio nei suoi confronti, sino all’ammissione dell’amore tra i due.

E’ una narrazione che rende omaggio all’amore omosessuale, dolce, delicato, intriso di piacere e di veleno, ci sono attrazione carnale, rifiuto, pentimento, violenza, vergogna, passione e dolore, c’è una scrittura che è un capolavoro, che è riuscita a trasporre verbalmente un sentimento profondamente femminile pur nella violenza maschile, che porta a galla la personalità dei due protagonisti che entrano nel sangue, nel cuore, con il loro veleno e con il loro amore pieno di splendore.

Estratto del testo tratto dal web

Estratto del testo tratto dal web

 

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