Siamo stati di nuovo in giro, questa volta rigorosamente a bordo del nostro amato Chewbecca e con la compagnia di Bubu e Margot: destinazione Serbia. Ma… se ti avanzano tre giorni liberi vuoi non spingerti un po’ più in là per scoprire un paese nel quale non sei mai stato? E da qui alla decisione di raggiungere Sofia il passo è stato brevissimo, quindi, seppur con notevole ritardo, riordino le idee e vi porto con me in questo viaggio inusuale e lontano dalle rotte turistiche di massa.
La preparazione della documentazione sanitaria per i cani, richiesta dal necessario rientro in Croazia, è stato alquanto controverso e complesso viste le informazioni scarse e confuse che abbiamo ricevuto, per poi precipitarci ad effettuare la titolazione anticorpale, fortunatamente risolta in breve tempo grazie all’efficienza tutta austroungarica della mia città. Abbiamo attraversato tre frontiere e se già il passaggio da Croazia a Serbia non è stato proprio veloce, quello tra Serbia e Bulgaria è stato devastante con due ore ed un quarto inchiodati in terra di nessuno a causa dei controlli troppo serrati, il tutto dopo una raffica di rallentamenti dovuti ad incidenti perché, detto tra noi, i serbi guidano da cani e nel totale spregio delle regole.
Ma veniamo finalmente al paese che ci ha ospitati, il più povero dell’area Schengen, e a Sofia, la capitale: è un paese controverso, proiettato verso il futuro da una parte della popolazione e arenato in un’immobilismo arcaico da un’altra percentuale di cittadini, un po’ per l’atmosfera fortemente sovietica che ancora permea la realtà e che rende tutto molto decadente, almeno in periferia, e un po’ per la nutrita percentuale islamica, tenacemente incatenata alla propria tradizione, al limite del fanatismo, che non permette al futuro di trovare spazi di espansione.
Il centro di Sofia è bellissimo e ricco di potenzialità, ci accoglie con la statua di Santa Sofia, per poi farci scoprire la cattedrale (una delle due) di Sveti Nedelja, chiesa ortodossa la cui struttura originale risale al X secolo, dalla base in pietra e pareti lignee, poi eletta a cattedrale nel XVIII secolo, e nuovamente eretta dopo aver smontato la struttura in legno nel 1856, questa volta in pietra; purtroppo due anni dopo un terremoto provocò all’edificio dei danni tale da prorogare la costruzione fino alla fine del 1863 ed avere finalmente la consacrazione nel 1867. Successivamente vennero aggiunti il campanile, nel 1879, e a cupola, nel 1898; tuttavia la chiesa subì ulteriori danni nel 1925 a seguito di un attentato e venne riconsacrata nel 1933. Il risultato di così tanti interventi di restauro lo possiamo vedere nello splendore attuale dell’edificio, riccamente decorato come da tradizione ortodossa eppure mai appesantito da eccessiva opulenza.
Un vero spettacolo è stata la visita a San Nikolaj, una piccola chiesa russa ortodossa con degli esterni spettacolari e degli interni non da meno, purtroppo anche qui le foto sono state rubacchiate, comunque si tratta di un edificio sorto sulle macerie della moschea Saray, distrutta nel 1882 dopo la liberazione della Bulgaria dall’Impero Ottomano. Essa venne progettata dall’architetto russo Mikhail Preobrazhenski e venne intitolata al santo patrono di Nikolaj II di Russia, allora al comando della nazione.
Nel corso degli scavi per l’attuale metropolitana sono stati rinvenuti dei resti romani, poi riportati alla luce e liberamente visitabili a testimonianza dell’antica Serdica, nome di Sofia all’epoca dei Traci, probabilmente derivato dal nome celtico della tribù dei Serdi.
Dopo la pausa pranzo abbiamo avuto modo di visitare la Cattedrale di Alexandr Nevskij, anch’essa ortodossa, costruita in stile neo bizantino, la seconda per grandezza di tutta la penisola balcanica, seconda solo a quella di San Sava a Belgrado. L’interno è in stile italiano, ricco di alabastro, bellissimo nonostante vi possa mostrare solo poche foto rubate, come di consueto; essa è stata intitolata al principe russo Aleksandr Nevskij in quanto eretta per commemorare la morte di duecentomila soldati russi caduti nel corso della guerra russo turca del 1877-78, al termine della quale la Bulgaria ottenne l’indipendenza. Nel corso della prima guerra mondiale il Regno di Bulgaria dichiarò guerra alla Russia, il che portò a cambiare il nome dell’edificio intitolandolo ai Santi Cirillo e Metodio, per poi riprendere la denominazione originale nel 1920.
L’ultima tappa l’abbiamo riservata alla chiesa di Santa Sofia, la seconda più antica di Sofia, risalente al IV-VI secolo, e che cambiò il nome alla città da Sardica all’attuale Sofia. Anch’essa venne edificata sul sito di diverse chiese precedenti ed addirittura sui resti di un teatro romano; la chiesa attuale risale al regno di Giustiniano I, quindi al VI secolo, seppure negli anni convertita in moschea e nuovamente restaurata dopo il 1900.
La moschea di Banya-Bashi merita un capitolo a parte: stupenda, assolutamente meravigliosa. Ma… iniziamo da principio: come ben sapete, se avete letto della mia esperienza egiziana con l’Islam, ho riscontrato un enorme rispetto, cosa che qui mi ha letteralmente schifata. Mi sono presentata all’ingresso seguendo le regole indicate, coprendomi il capo, togliendomi le scarpe, sono entrata con il massimo rispetto ed educazione ma, al suo interno, ho rinvenuto fedeli che bivaccavano, che dormivano, alcuni che strillavano in viva vice al cellulare, alcune turiste in shorts inguinali ma il cretino integralista di turno mi ha presa di mira rincorrendomi con una pezzetta per farmi coprire le ginocchia e gridando all’orrore. Ho scattato le foto e me ne sono andata, fine della storia, avendo avuto l’ennesima dimostrazione che i problemi non li creano le religioni ma l’ignoranza umana.
Prima di rientrare al camper abbiamo approfittato per un giro al Mercato delle Donne, fondato nel XIX secolo, ricco di prodotti agricoli profumatissimi, alcuni punti di ristoro ed alcuni stand di merci importati: vi dico solo che un chilo di fichi strepitosi l’abbiamo pagato un euro e settantacinque!
Oramai siamo abbastanza stanchi, complice il caldo devastante, quindi rientriamo alla base e ci vediamo alla prossima tappa!
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